Data

Date:
31-03-2004
Country:
Italy
Number:
Court:
Tribunale di Padova - Sez. Este
Parties:

Keywords

UNIFORM INTERPRETATION AND APPLICATION OF CISG (ART. 7(1) CISG)- RELEVANCE OF INTERNATIONAL CASE LAW

GOOD FAITH AS A GENERAL PRINCIPLE AND AS AN AID IN INTERPRETNG THE CONVENTION (ART. 7(1) CISG

APPLICATION OF CISG - IMPLIED EXCLUSION - REFERENCE BY PARTIES IN PLEADINGS TO DOMESTIC LAW NOT SUFFICIENT

APPLICATION OF CISG - ART. 1(2) CISG NOT APPLICABLE

SCOPE OF CISG - DEFINITION OF "SALE" (ARTS. 30 AND 53 CISG)

PAYMENT OF PRICE - TIME - IF NO EXPRESS PROVISION IN CONTRACT, UPON DELIVERY OF GOODS (ART. 58(1) CISG)

PAYMENT OF THE PRICE - NO NEED FOR FORMAL REQUEST BY SELLER (ART. 59 CISG)

ADDITIONAL PERIOD OF TIME FIXED BY THE SELLER (ART. 63(1) CISG) - NOT NECESSARY

SET OFF - MATTER EXCLUDED BY CISG - RECOURSE TO DOMESTIC LAW

Abstract

An Austrian seller and an Italian buyer entered into a contract for the sale of winter potatoes. As the buyer did not pay the purchase price, the seller obtained from the Tribunale di Padova an injunction for payment plus expenses and interest, which the buyer challenged before the same court. The buyer also requested set-off against the seller's claim.

In its judgement the Court relied for each issue on a number of decisions on CISG that had already been rendered by foreign courts and arbitral tribunals, in order to promote uniformity in the interpretation and application of CISG (Art. 7(1) CISG).

The Court first of all stated that the direct application of uniform law prevails over recourse to private international law: therefore it held that the contract was governed by CISG as the two parties were situated in different Contracting States, and Art. 1(2) CISG was not applicable.

The Court further held that even if CISG does not contain an explicit definition of “sale”, the concept should be determined in an autonomous way, without referring to national law. Therefore, making reference to Arts. 30 and 53 CISG, the Court considered that also the substantive requirements for the application of the Convention were met, i.e. that the contract was a sales contract of an international character.

Moreover the parties had not excluded the application of the Convention: according to the Court, while the parties are free to exclude the application of CISG either expressly or impliedly, the mere reference to domestic law in the parties' pleadings is not in itself sufficient to exclude CISG. To this effect parties must first of all be aware that CISG would be applicable and moreover intend to exclude it.

As to the merits, the Court rejected the buyer’s opposition holding that since the parties had concluded the contract orally, as permitted by Art. 11 CISG, and had not fixed a specific time for payment, Art. 58 CISG applied. Therefore the buyer should have paid the price when the seller placed the goods at its disposal. Furthermore, according to Art. 59 CISG, the buyer should have paid the price without the seller having to make any request or comply with any formality.

The Court held that the seller could fix an additional period of time as set out in Art. 63 CISG, but it also considered that this is only a possibility for the performing party, not an obligation: the seller is entitled to choose between fixing such an additional period of time (and until the expiration of this period it can neither terminate the contract nor resort to any remedy for breach of contract) or commencing a legal action for payment. In the case at hand, though the seller had waited six months after delivery before asking for the injunction of payment, the Court held that it had not violated the principle of good faith and fair dealing, considered a general principle and a precious means of interpreting the Convention (Art. 7(1)CISG).

As far as the set-off claim is concerned, the Court held that this matter is not covered by CISG. By virtue of the private international law rules set forth in the Hague Convention of 1955, the Court applied Austrian law, under which the set-off claim was denied.

Fulltext

MOTIVAZIONE CONTESTUALE

La domanda proposta da Scatolificio La Perla s.n.c. di Aldrigo Stefano e Giuliano con sede in Monselice è fondata e può pertanto trovare accoglimento.
Nel 2001 la società attrice ha venduto a Martin Frischdienst GmbH con sede in Mainz-Hechsheim (Germania) un ingente quantitativo di scatole per pizza, pattuendo il corrispettivo di Euro 14.404,60. L’acquirente non ha pagato il prezzo, pur non contestando la conformità della merce ricevuta a quanto ordinato.
Nel presente giudizio, l’attrice sostiene che il pagamento doveva essere effettuato, mediante bonifico bancario, “30 giorni fine mese data fattura”, e dunque – essendo la fattura emessa in data 10 aprile 2001 – entro il 30 maggio 2001.
La convenuta non si è difesa, essendo rimasta contumace.
Va innanzitutto rilevato che la presente controversia riguarda un rapporto d’indubbio carattere internazionale. Da ciò deriva l’esigenza di individuare il diritto sostanziale applicabile al contratto. A questo fine potrebbe ritenersi necessario ricorrere alle norme di diritto internazionale privato in materia di vendita internazionale, che in Italia – come affermato dalla Suprema Corte in una recente pronuncia (Cass. Civ., Sez. Un., 19 giugno 2000, n. 448, in Corr. giur., 2002, 369 ss.) – sono le norme previste dalla Convenzione dell'Aja del 15 giugno 1955, ratificata con l. 4 febbraio 1958, n. 50 ed entrata in vigore il 1° settembre 1964, e non già quelle previste dalla Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, resa esecutiva con l. 18 dicembre 1984, n. 975 ed entrata in vigore il 1° aprile 1991 (in questo senso, v. anche Trib. Rimimi, 26 novembre 2002, n. 3095, in Giur. it., 2003, 896 ss.; Trib. Vigevano, 12 luglio 2000, n. 405, in Giur. it., 2001, 281 ss.; Trib. Pavia, 29 dicembre 1999, n. 468, in Corr. giur., 2000, 932 ss.). Tale affermazione si basa sull’opinione che le norme di diritto internazionale privato costituiscano lo strumento più idoneo (ed appositamente creato) per l'individuazione delle norme sostanziali applicabili.
A questo approccio internazionalprivatistico si deve tuttavia preferirne uno diverso, che favorisca, ove possibile, la diretta applicazione di norme di diritto sostanziale. Con riferimento al caso di specie, ciò impone di stabilire se sussistano i requisiti di applicabilità della Convenzione delle Nazioni Unite sui contratti di vendita internazionale di beni mobili del 1980 (ratificata con l. 11 dicembre 1985, n. 765, ed entrata in vigore il 1° gennaio 1988). La preferenza per la Convenzione delle Nazioni Unite (che è convenzione di diritto materiale uniforme, e non di diritto internazionale privato, come talvolta si è erroneamente affermato), rispetto alle norme di diritto internazionale privato poste dalla Convenzione dell'Aja, è anzitutto dovuta al fatto che l'ambito di applicazione internazionale della Convenzione delle Nazioni Unite è speciale rispetto a quello della Convenzione dell'Aja, perché più limitato. La prima, infatti, si applica soltanto ai contratti di vendita la cui internazionalità dipende dalla diversa ubicazione statale della sede d'affari delle parti contraenti, mentre – com'è noto – la Convenzione dell'Aja riguarda ogni tipo di contratto di vendita “internazionale”. Inoltre, la specialità della Convenzione delle Nazioni Unite si fonda su un giudizio di prevalenza delle norme di diritto materiale uniforme rispetto a quelle di diritto internazionale privato, indipendentemente dalla fonte (nazionale od internazionale) di queste ultime. Le norme di diritto materiale uniforme rivestono per definizione carattere di specialità, giacché risolvono il problema sostanziale “direttamente”, ossia evitando il doppio passaggio, che sempre si rende necessario quando si fa ricorso alla giustizia di diritto internazionale privato, consistente prima nell'individuazione del diritto applicabile e poi nell'applicazione dello stesso.
Si rileva poi la sussistenza dei presupposti per l’applicabilità della Convenzione delle Nazioni Unite, trovandoci di fronte ad un contratto qualificabile, anche ai sensi della Convenzione, come compravendita di beni mobili, il cui carattere di internazionalità si desume – sempre secondo quanto richiede la Convenzione – dall’ubicazione in Stati diversi della sede d’affari delle parti (ossia del luogo dal quale viene svolta un’attività commerciale caratterizzata da una certa durata, stabilità ed autonomia). Infatti, il venditore ha la propria sede d'affari in Italia, mentre il compratore ha sede in Germania, dunque in due Stati contraenti (la Convenzione è entrata in vigore sia in Italia, sia in Germania ben prima della conclusione del contratto, rispettivamente il 1° gennaio 1988 ed il 1° gennaio 1991, e deve pertanto considerarsi applicabile in virtù dell'art. 1, 1° comma, lett. a), non avendo le parti fatto ricorso alla possibilità di escluderne l'applicazione, ancorché detta facoltà fosse esercitabile anche in forma tacita).
Ciò premesso, si osserva che sussiste prova documentale della conclusione del contratto di compravendita. Peraltro, non è necessario, ai fini della validità, che il negozio sia perfezionato per iscritto. Infatti, pur affermando l’art. 4 che la Convenzione “non riguarda [a)] la validità del contratto o di singole sue clausole”, essa comunque disciplina, all’art. 11, la questione della validità formale, affermando il principio generale dell’informalità (v. Corte Federale svizzera, 15 settembre 2000, pubblicata su internet al seguente sito: ), in virtù del quale è valido anche il contratto del quale non esista prova documentale (afferma, ad esempio, la validità del contratto di compravendita internazionale concluso oralmente OLG Köln, 22 febbraio 1994, in Praxis des internationalen Privat- und Verfahrensrechts, 1995, 393 ss.). Risulta altresì dimostrata, per mezzo delle testimonianze escusse nel corso dell’istruttoria, la consegna dei beni alla società acquirente, la quale non ha contestato né il ricevimento della merce né la sua conformità al contratto.
Martin Frischdienst GmbH dev’essere perciò condannata al pagamento del prezzo pattuito, pari ad Euro 14.404,60.
La società attrice ha inoltre chiesto la condanna della convenuta al pagamento degli interessi e “alla rivalutazione monetaria dalla data in cui è sorto il credito al saldo”.
Occorre a questo punto determinare il momento in cui l’acquirente avrebbe dovuto provvedere al pagamento del prezzo. Non risulta che le parti avessero contrattualmente determinato un termine di adempimento dell’obbligazione del compratore. Proprio per fare fronte a questa eventualità, l'art. 58 della Convenzione delle Nazioni Unite stabilisce che “se il compratore non è obbligato a pagare il prezzo in un altro momento determinato” – il che, lo si ripete, non risulta nel caso in esame –, “egli deve pagarlo quando, in conformità al contratto e alla presente Convenzione, il venditore mette a sua disposizione i beni”. La norma sancisce pertanto il principio della contemporaneità del pagamento alla messa a disposizione dei beni (o dei documenti rappresentativi di essi), che si applica ogniqualvolta le parti non si siano accordate diversamente (e non esistano usi – che presentino i caratteri di cui all'art. 9, 2° comma, della Convenzione – dai quali si evinca l’esistenza di un diverso termine di pagamento). Ciò porterebbe a sostenere che il credito del venditore è divenuto esigibile con la messa a disposizione della società tedesca della merce compravenduta, ossia in data 10 aprile 2001.
Tuttavia, con la fattura n. 246 emessa dal venditore il 10 aprile 2001 è stato indicato come momento di pagamento una data successiva, che corrisponde al 30 maggio 2001. Poiché la fattura è stata emessa contestualmente all’invio della merce al compratore, e non in un momento successivo al suo ricevimento, deve escludersi che, quello concesso dal venditore, si sia stato un termine supplementare ai sensi dell’art. 63 della Convenzione. Questa norma presuppone infatti che il compratore si sia già reso inadempiente, e consente al venditore (che si tratti di una facoltà del venditore, e non di un obbligo, è stato affermato anche da Cour d'Appel Grenoble, 4 febbraio 1999, pubblicata su internet al seguente sito: ), prima di esperire i rimedi concessi dalla Convenzione, di fissare un ulteriore termine, al fine di avere certezza della definitività dell’inadempimento di controparte e potere ottenere la risoluzione del contratto senza doversi preoccupare di accertare (e successivamente provare) la sussistenza dei presupposti indicati dall’art. 25 della stessa Convenzione (ossia a prescindere dal fatto che l’inadempimento sia qualificabile come essenziale: di questa opinione è la Corte Suprema austriaca, 28 aprile 2000, in Zeitschrift für Rechtsvergleichung, 2000, 80; LG Bielefeld, 18 gennaio 1991, pubblicata su internet al seguente sito: ; nonché la Cour d'Appel Grenoble, 4 febbraio 1999, pubblicata su internet al seguente sito: ).
Nel caso di specie, essendo il termine stato concesso prima che il compratore si rendesse inadempiente, deve ritenersi che si sia trattato di un’unilaterale integrazione (o meglio, modificazione) del regolamento contrattuale (che avrebbe altrimenti imposto, in virtù del disposto dell’art. 58, il pagamento del prezzo contestualmente alla messa a disposizione della merce), legittima in quanto favorevole alla controparte. Del resto, se è vero che, in base all’art. 29 della Convenzione, la modifica del contratto richiede di regola un accordo delle parti, pare innegabile che, in virtù del principio generale della Convenzione secondo cui è vietato venire contra factum proprium (per un riferimento a questo principio, v. il lodo arbitrale del tribunale arbitrale della CCI, n. 8786, in ICC Court of Arbitration Bulletin, 2000, 70 ss.), il creditore del prezzo non può esigere, dopo avere egli stesso posticipato il termine per il pagamento, che l’adempimento sia effettuato dal debitore al momento della consegna della merce.
Il convenuto dev’essere perciò considerato in mora dalla data del 30 maggio 2001. Non era infatti necessaria alcuna formale richiesta di pagamento, essendo la mora, come si evince chiaramente dall’art. 59 della Convenzione, un effetto automatico della scadenza del termine di pagamento (v. Handelsgericht des Kantons Aargau, 5 novembre 2002, pubblicata su internet al seguente sito: ; LG Stendal, 12 ottobre 2000, in Internationales Handelsrecht, 2001, 30; escludono la necessità di un ulteriore atto del venditore per costituire in mora il compratore anche AG Viechtach, 11 aprile 2002, pubblicata su internet al seguente sito: ; Kantonsgericht Schaffhausen, 25 febbraio 2002, pubblicata su internet al seguente sito: ; Landgericht Aachen, 3 aprile 1990, in Recht der internationalen Wirtschaft, 1990, 491 s.).
Il diritto agli interessi sulle somme non pagate è espressamente previsto dall’art. 78 delle Convenzione, che così recita: “Se una parte ritarda nel pagare il prezzo o qualsiasi altra somma dovuta, l’altra parte ha diritto agli interessi su dette somme, senza pregiudizio per il risarcimento del danno che può essere chiesto in virtù dell’articolo 74”. Si ricava facilmente dalla lettura di questa disposizione che essa non risolve tutti i problemi relativi agli interessi sulle somme non pagate. Infatti, come spesso sottolineato sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, il predetto articolo prevede soltanto un “diritto generale agli interessi” (v. il lodo arbitrale del tribunale arbitrale della CCI, n. 7785, in Journal du droit international, 1995, 1015 ss.; OLG Koblenz, 17 settembre 1993, in Recht der internationalen Wirtschaft, 1993, 938); altre questioni, tra cui quella del saggio d’interesse applicabile (questione rilevante ai fini della decisione di questa controversia), non sono state affrontate dai redattori della Convenzione delle Nazioni Unite.
La mancata previsione di criteri sulla base dei quali determinare il saggio d’interesse ha generato una disputa in dottrina tra coloro che sostengono che la questione sia disciplinata dalla Convenzione, anche se non espressamente (lacuna interna), e chi invece ritiene che la determinazione del tasso d’interesse sia materia esclusa dall'ambito di applicazione della Convenzione (lacuna esterna). Nella prima ipotesi è possibile ricorrere ai principi generali della Convenzione, mentre nella seconda occorre fare ricorso alla giustizia di diritto internazionale privato, al fine d’individuare il diritto sostanziale applicabile. Questo Tribunale propende, come d'altronde la prevalente dottrina e giurisprudenza, per la seconda tesi. La misura degli interesse deve considerarsi questione esclusa dalla Convenzione, giacché i suoi redattori non sono stati in grado di trovare alcun accordo sul punto, ed hanno perciò volutamente omesso di affrontare il problema (v. anche Trib. Pavia, cit.). Ne consegue che non è legittimo ricorrere, ex art. 7, 2° comma, ai principi generali su cui si basa la Convenzione – come invece talune corti hanno sostenuto (v. ad esempio RB Koophandel Ieper, 29 gennaio 2001, pubblicata su internet al seguente sito: ; Juzgado Nacional de Primiera Instancia en lo Comercial n. 10, Buenos Aires, 6 ottobre 1994, pubblicato sul seguente sito internet: ; lodi arbitrali della corte arbitrale della Camera federale del commercio di Vienna, nn. 4366 e 4318, in Recht der internationalen Wirtschaft, 1995, 590 ss.) –, il cui impiego porterebbe su questa questione a soluzioni ampiamente discrezionali se non addirittura arbitrarie, e dunque contrarie a quell’esigenza di certezza del diritto, che è condizione indispensabile per lo sviluppo del commercio internazionale.
Per l’individuazione del saggio d’interesse si deve dunque fare riferimento al diritto applicabile in virtù delle norme di diritto internazionale privato del foro (in questo senso LG Saarbrücken, 25 novembre 2002, in Internationales Handelsrecht, 2003, 70-71; LG Stendal, 10 dicembre 2000, in Internationales Handelsrecht, 2001, 30 ff.; LG Darmstadt, 9 maggio 2000, in Internationales Handelsrecht, 2001, 27 ff.; OLG Stuttgart, 28 febbraio 2000, in OLG Report-Stuttgart, 2000, 407 f.; Trib. Pavia, cit.; OLG Koblenz, 18 novembre 1999, pubblicata su internet al seguente sito: ; KA Zug, 21 ottobre 1999, pubblicata su internet al seguente sito: ; KG Kanton Zug, 16 ottobre 1997, pubblicata sul seguente sito internet: ). Nel caso concreto occorre pertanto fare ricorso alle già ricordate norme della Convenzione dell’Aja del 1955, che rinviano al diritto italiano, in quanto diritto del venditore (v. art. 3, 1° comma, della Convenzione dell’Aja del 1955). Di conseguenza, è necessario applicare il saggio legale di cui all’art. 1284 c.c., tenendo ovviamente conto delle variazioni che questo ha subito nel tempo.
Quanto alla rivalutazione monetaria, richiesta dall’attore, si rileva che l’art. 78, rinviando all’art. 74 della stessa Convenzione, consente che la condanna al pagamento degli interessi sia cumulata con la condanna al risarcimento dell’ulteriore danno non soddisfatto attraverso la determinazione degli interessi nella misura sopra indicata (in questo senso LG Saarbrücken, 25 novembre 2002, in Internationales Handelsrecht, 2003, 71; RB Koophandel Hasselt, 17 giugno 1998, pubblicata su internet al seguente sito: ; HG Zürich, 10 luglio 1996, pubblicata su internet al seguente sito: ). Di tale ulteriore danno occorre però una precisa allegazione (ad esempio, affermando che la svalutazione è stata superiore al tasso legale d’interesse e che, se la somma di denaro fosse stata tempestivamente corrisposta, essa sarebbe stata investita in modo da sottrarla all’incidenza della svalutazione o comunque in maniera da ottenere una remunerazione superiore al saggio legale) ed una puntuale prova che, in virtù del principio generale onus probandi incumbit ei qui dicit, su cui si basa – oltre l’ordinamento processuale italiano – la stessa Convenzione (v. Trib. Rimini, cit.; Trib. Vigevano, cit.), incombeva sull’attore, il quale però l’ha del tutto omessa. Sicché, sul punto, la domanda dev’essere respinta.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI PADOVA
SEZIONE DISTACCATA DI ESTE
in persona del giudice monocratico, definitivamente pronunciando nella causa n. 40466 del R.g. 2002, promossa da Scatolificio La Perla s.n.c. di Aldrigo Stefano e Giuliano con sede in Monselice (attrice) con atto di citazione notificato il 16 dicembre 2002 nei confronti di Martin Frischdienst GmbH con sede in Mainz-Hechsheim (Germania) (convenuta), ogni contraria domanda ed eccezione disattesa, così ha deciso:
1) dichiara tenuta e condanna la convenuta a pagare all’attrice la somma di Euro 14.404,60, maggiorata degli interessi nella misura legale, ex art. 1284 c.c., dalla data del 30 maggio 2001 al saldo;
2) dichiara tenuta e condanna la convenuta a rifondere all’attrice le spese di lite che liquida nella somma di Euro 1.430,00, di cui Euro 600,00 per diritti ed Euro 600,00 per onorari, oltre IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Este, il 31 marzo 2004.
Il Giudice
(dott. Alessandro Rizzieri)}}

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- Courtesy of Prof. Franco Ferrari}}