Data

Date:
19-06-2000
Country:
Italy
Number:
448
Court:
Corte Suprema di Cassazione, Sez. Un.
Parties:
Premier Steel Service c. Oscam s.p.a

Keywords

CONTRACT FOR THE SALE AND INSTALLATION OF INDUSTRIAL PLANT - SELLER TO INSTALL PLANT AT BUYER'S FACTORY - PLACE OF PERFORMANCE NOT WHERE GOODS ARE HANDED OVER TO FIRST CARRIER FOR TRANSPORTATION TO BUYER'S COUNTRY (ART. 31 CISG) BUT AT BUYER'S FACTORY

Abstract

An Italian seller and a Malaysian buyer concluded a contract for the sale and the installation at buyer's place of a plant for the processing of metal. The seller brought an action in an Italian Court requesting the Court to ascertain that the plant conformed to the terms of the contract. The buyer objected that the Italian Court had no jurisdiction to hear the case.

The Italian Supreme Court applied Art.5 (1) of the EC Convention on Jurisdiction and the Enforcement of Judgements in Civil and Commercial Matters (Brussels 1968,incorporated into the 1995 Italian Act on Private International Law, according to which a person be sued in the Court of the place of performance of the obligation in question. In order to determine the place of performance, the Court referred to CISG, applicable in the case at hand since the relevant Italian rules of private international law (Art. 3 of the 1955 Hague Convention on the law applicable to international sales contracts) led to the application of the law of a contracting State (Italy, where the seller had its place of business)(Art.1 (1) (b) CISG).

The Supreme Court held that the Italian Judge had no jurisdiction. In reaching this conclusion the Court argued that the place of performance of the seller's obligation was the buyer's factory in Malesia. Admittedly the contract provided for the delivery of the components of the plant "FOB-Northern Italian Port", but the same contract also provided that the components had to be assembled and installed at the buyer's factory in Malesia by seller's technicians. Consequently the place of performance of seller's obligations under the contract was not the place of handing over the goods to the first carrier according to Art. 31 CISG, but the factory of buyer in Malesia where the plant had to be installed by seller.

Fulltext

[...]

Fatto

Con atto di citazione del 3 marzo 1997 la s.p.a. X conveniva davanti al Tribunale di Torino la società Y, avente sede in Malesia, chiedendo: a) che la società convenuta fosse condannata al pagamento della somma di L. 427.110.000, oltre agli interessi ed al maggiore danno ex art. 1224 c.c., quale prezzo residuo della fornitura di un impianto per la lavorazione del ferro ad uso industriale; b) che fosse accertato che il detto impianto era conforme all'ordine del 12 gennaio 1996 e che era conseguentemente infondata la richiesta di risarcimento dei danni avanzata stragiudizialmente dall'altra parte. La società convenuta, che già nel costituirsi in giudizio aveva eccepito il difetto di giurisdizione del giudice italiano, ha proposto istanza di regolamento preventivo, sostenendo che la cognizione della controversia appartiene all'autorità giudiziaria malese. La società X ha resistito con controricorso. La parte ricorrente ha presentato memoria.

Diritto

1.- La società ricorrente, premesso che lo scopo perseguito dalla società attrice X non è di ottenere il saldo del prezzo, dato che in precedenza aveva agito in Malesia nei confronti della garante J, ma di prevenire la domanda che la società Y stava per proporre nei suoi confronti in quel Paese, deduce: - il criterio di collegamento applicabile nella specie è quello del luogo in cui è stata o doveva essere eseguita l'obbligazione dedotta in giudizio (art. 5, n. 1, della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968), da individuare in conformità della legge che regola il rapporto, secondo il diritto internazionale privato dello Stato del giudice adito; - la materia dei contendere concerne due obbligazioni: il pagamento del prezzo e l'esecuzione delle prestazioni alle quali era tenuta la società venditrice; - queste ultime consistevano sia nella consegna dell'impianto, sia nel montarlo ed installarlo in Malesia, dove quindi è ubicato il locus destinatae solutionis; - il pagamento del saldo del prezzo doveva essere effettuato a Torino, ma la relativa domanda è stata proposta contestualmente all'altra, nello stesso giudizio, per radicare in Italia la giurisdizione anche per l'altra; - stante tale cumulo di azioni, si deve ricorrere ad un criterio oggettivo, non dipendente dalla scelta della parte attrice, per stabilire se la cognizione della causa spetti unitariamente all'autorità giudiziaria dell'uno o dell'altro Stato, essendo ciascuna di esse competente per una sola delle due domande; - a tal fine occorre la sussistenza di uno stretto collegamento tra il giudice e la fattispecie oggetto del giudizio, per il cui accertamento assume rilievo l'obbligazione principale o caratterizzante il contratto; - essa, nella specie, va identificata nell'obbligazione che doveva essere adempiuta dalla società X in Malesia, consistente nella consegna, nel montaggio e nella installazione dell'impianto industriale; - il carattere principale di tali prestazioni risulta anche dal fatto che alla loro esatta esecuzione è subordinato il diritto al pagamento del prezzo residuo, fatto valere in giudizio dalla parte attrice.

2.- Il regolamento preventivo di giurisdizione è ammissibile poichè, come queste Sezioni unite hanno già affermato (sentenze 25 maggio 1999 n. 293 e 1 febbraio 1999 n. 6), anche dopo l'abrogazione dell'art. 37, secondo comma, c.p.c. (da parte dell'art. 73 della legge 31 maggio 1995 n. 218, di riforma del diritto internazionale privato), esso può essere proposto per la risoluzione della questione di giurisdizione nei confronti dello straniero, questione oggi disciplinata dall'art. 11 della citata legge n. 218-1995, a cui deve intendersi riferito il rinvio ricettizio operato dall'art. 41 c.p.c. per definire l'ambito di applicazione del regolamento di giurisdizione. Sull'ammissibilità del presente regolamento non incide, poi, la pendenza di un processo davanti al giudice della Malesia a cui ambedue le parti hanno fatto più volte riferimento nei loro scritti. Tale giudizio è stato instaurato dalla società attrice X nei confronti della garante J al fine di ottenere il pagamento di una garanzia bancaria stipulata in relazione al contratto perfezionato con la società ricorrente, la quale è poi intervenuta nello stesso processo. Detto giudizio straniero, in assenza degli elementi previsti dall'art. 7 della legge n. 218-1995 (identità di parti, di oggetto e di titolo con le domande proposte in Italia dalla società X), non può determinare una litispendenza idonea a sospendere il presente giudizio ed a precludere l'esame della questione di giurisdizione posta con il regolamento. Non trova, quindi, applicazione la causa di inammissibilità del regolamento di giurisdizione ravvisata dalle sentenze di questa Corte 28 aprile 1999 n. 274 e 13 febbraio 1998 n. 1514, peraltro con riferimento a disposizioni di convenzioni internazionali che prevedono la sospensione di ufficio per effetto della litispendenza internazionale, mentre il citato art. 7 presuppone che tale litispendenza sia stata eccepita dalla parte.

3.- La tesi della società che ha proposto l'istanza di regolamento merita di essere condivisa, onde va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano a conoscere della presente causa.

3.1.- Poiché il giudizio è stato instaurato dopo l'entrata in vigore della legge 31 maggio 1995 n. 218, va fatta applicazione dell'art. 3 di quest'ultima legge. In assenza di alcuno dei collegamenti previsti nel comma 1 tra la giurisdizione italiana e la società convenuta malese, assume rilievo il disposto del comma 2 di detto art. 3, secondo cui, quando si tratti di una delle materie comprese nel campo di applicazione della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 (resa esecutiva con la legge 21 giugno 1971 n. 804), la giurisdizione italiana può sussistere sulla base dei criteri stabiliti dalle sezioni 2, 3 e 4 dei titolo II di detta Convenzione, criteri che pertanto vanno applicati anche nei riguardi di uno Stato che non ha aderito alla Convenzione medesima.

Poiché la presente controversia concerne la materia contrattuale, trova applicazione l'art. 5, comma 1, della citata Convenzione di Bruxelles, secondo cui sussiste la giurisdizione del "giudice del luogo in cui l'obbligazione dedotta in giudizio è stata o deve essere eseguita" (locus destinatae solutionis). Questo luogo va determinato secondo il diritto sostanziale applicabile in base al diritto internazionale privato del giudice adito (Cass. 30 giugno 1999 n. 366; 19 dicembre 1994 n. 10910). Per le vendite internazionali di beni mobili (come quella che è oggetto del presente giudizio), le norme di diritto internazionale privato italiano sono dettate dalla Convenzione dell'Aja del 15 giugno 1955 (resa esecutiva con legge 4 febbraio 1958 n. 50), la quale ha un carattere universale (art. 7) e prevale sulla Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 (resa esecutiva con la legge 18 dicembre 1984 n. 975), alla quale fa rinvio l'art. 57 della citata legge n. 218-1995 (tale prevalenza si desume sia dalla parte finale dello stesso art. 57, sia dall'art. 21 della detta Convenzione di Roma). La Convenzione dell'Aja del 1955, contrariamente a quanto si è sostenuto nel controricorso, non può ritenersi abrogata dalla Convenzione di Vienna dell'11 aprile 1980 sui contratti di vendita internazionale di merci (resa esecutiva con legge 11 dicembre 1985 n. 765), poiché quest'ultima Convenzione contiene norme di diritto materiale uniforme e non di diritto internazionale privato, onde esse dettano una disciplina sostanziale della vendita diretta a sostituire le norme nazionali, ma non hanno lo scopo di determinare la legge applicabile al contratto di vendita, che va individuata sulla base della citata Convenzione dell'Aja. Secondo l'art. 3 di quest'ultima Convenzione, la legge che regola la vendita, in assenza di designazione delle parti contraenti, è quella italiana, poiché in Italia ha la residenza abituale il venditore (società X). Il locus destinatae solutionis (rilevante, come si è visto, ai sensi dell'art. 5 della Convenzione di Bruxelles) va, pertanto, determinato sulla base della legge italiana. Avendo, però, l'Italia aderito alla citata Convenzione di Vienna dell'11 aprile 1980 sui contratti di vendita internazionale di merci, la legge italiana è sostituita dalle norme di detta Convenzione (art. 1, comma 1, lettera b). Queste norme, peraltro, hanno carattere dispositivo, essendo stata rimessa all'autonomia negoziale di modificarle o escluderne gli effetti (art. 6).

3.2.- Occorre, pertanto, fare riferimento innanzitutto alle previsioni contrattuali e, in subordine, alle regole dettate dalla Convenzione di Vienna, per individuare il luogo di esecuzione dell'obbligazione dedotta in giudizio (locus destinatae solutionis).

Come si è precisato in narrativa, la società attrice ha proposto davanti al Tribunale di Torino due domande: una di condanna della società convenuta malese al pagamento del residuo prezzo dell'impianto venduto, l'altra di accertamento della conformità di detto impianto a quello ordinato dalla società malese, con la conseguente declaratoria di infondatezza della pretesa di risarcimento dei danni avanzata stragiudizialmente dalla società acquirente.
Non è contestato tra le parti che il luogo di esecuzione dell'obbligazione dedotta con la prima domanda sia in Italia, poichè il prezzo doveva essere pagato presso il venditore (società italiana) sia secondo il contratto, sia secondo l'art. 57 della citata Convenzione di Vienna.
La controversia concerne, invece, l'individuazione del luogo di esecuzione dell'obbligazione dedotta con la seconda domanda, che attiene alla fornitura dell'impianto industriale venduto. La società attrice ha sostenuto che questo luogo è in Italia, poiché qui (e precisamente nel porto di Genova) è avvenuta la consegna al vettore dei diversi pezzi costituenti l'impianto, ai fini del loro trasporto in Malesia, ed in tale rimessione dei "beni al primo vettore per la trasmissione al compratore" va individuata la consegna ai sensi dell'art. 31 della Convenzione di Vienna. La società convenuta ha, invece, sostenuto che il luogo di esecuzione dell'obbligazione del venditore va individuato in Malesia, poiché qui avvenne il montaggio dell'impianto ed al riguardo la società venditrice X si obbligò contrattualmente a porre a disposizione il suo personale specializzato per la messa in opera dell'impianto, la quale pertanto va considerata "come requisito indispensabile per l'adempimento dell'obbligazione di consegnare". Il Collegio, che sulle questioni di giurisdizione è "giudice del fatto", condivide l'interpretazione che delle pattuizioni contrattuali ha prospettato la società convenuta. La società italiana X vendette alla società malese una molteplicità di componenti di un impianto per la lavorazione del ferro ad uso industriale, che furono montati in Malesia. Il prezzo fu convenuto "F.O.B. North Italian Port", ma, nel contratto scritto (prodotto dalla società attrice), subito dopo la indicazione del prezzo pattuito si precisò, in relazione all'installazione dell'impianto in Malesia, che sarebbe dovuto intervenire "un tecnico della società X con spese di viaggio, vitto ed alloggio a carico della società X". Questo tecnico "dovrà completare l'installazione-avviamento entro 14 giorni dalla data di inizio", fissata a seguito di richiesta dell'acquirente (si fa riferimento alla traduzione del testo inglese del contratto, effettuata dalla società convenuta e non contraddetta da controparte). Anche nella clausola relativa alla voce "Warranty" le parti si riferirono all'obbligo della società X di partecipare all'installazione-avviamento dell'impianto. Dalla natura dell'oggetto della vendita (insieme di parti che hanno bisogno di essere poi tecnicamente connesse per consentirne l'utilizzazione) e dal contenuto delle pattuizioni espresse si desume, pertanto, l'obbligo della società venditrice di contribuire, a mezzo di operaio specializzato, al montaggio dell'impianto in Malesia. Consegue che tale obbligo costituisce un requisito indispensabile per l'adempimento dell'obbligazione di consegna, onde il luogo di esecuzione di tale obbligazione va considerato quello in cui le operazioni di montaggio dovevano essere compiute. In tal senso è, da tempo, orientata la giurisprudenza di questa Corte: sentenze 19 dicembre 1994 n. 10910, 25 luglio 1981 n. 4818; 20 ottobre 1975 n. 3397; 10 aprile 1968 n. 1103; 20 giugno 1964 n. 1610. È, quindi, inapplicabile l'art. 31 della Convenzione di Vienna, invocato dalla società attrice, dovendo su questa previsione darsi prevalenza all'autonomia negoziale delle parti. Il giudice competente sulla seconda domanda proposta dalla società X è, pertanto, quello della Malesia, ove l'impianto doveva essere installato e messo in opera.

4.- Deve concludersi che, in applicazione del criterio posto dall'art. 5, n. 1, della citata Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, la giurisdizione sulla prima domanda della società X spetta al giudice italiano e quella sulla seconda domanda al giudice malese. La separazione tra le due domande si porrebbe, però, in contrasto con gli obiettivi della detta Convenzione, i quali, secondo la costante giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, comportano la necessità di evitare, nella misura del possibile, la molteplicità dei criteri di giurisdizione relativamente al medesimo contratto. Per realizzare tale finalità queste Sezioni unite hanno più volte affermato che, in presenza di domanda basata su più obbligazioni derivanti da un solo contratto, l'art. 5 n. 1 della Convenzione di Bruxelles va applicato prendendo in considerazione l'obbligazione che caratterizza il contratto stesso (Cass. 9 giugno 1995 n. 6499; 21 febbraio 1995 n. 1880; 28 marzo 1990 n. 2500). In applicazione di tale criterio la giurisdizione su ambedue le domande proposte dalla società X va individuata in relazione al luogo di esecuzione di quella, tra le obbligazioni dedotte in giudizio, che caratterizza il contratto. Nel caso di specie, tra le due obbligazioni dedotte in giudizio (pagamento del prezzo e consegna e messa in opera dell'impianto industriale), è la seconda che caratterizza il contratto stipulato tra le parti, poiché l'obbligo di pagare il corrispettivo è comune ad una pluralità di contratti. Consegue che il luogo di esecuzione di tale obbligazione determina la giurisdizione sull'intera causa. E tale luogo, come si è rilevato, trovasi in Malesia.

5.- In conclusione, va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano a conoscere della presente causa. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese dell'intero processo.

P.Q.M

La Corte dichiara il difetto di giurisdizione del giudice italiano. Compensa tra
le parti le spese dell'intero processo. Così deciso a Roma il 10 marzo 2000.}}

Source

Published in original:
- Giurisprudenza Italiana , 2001, p. 233 ff.}}