Data

Date:
24-11-2020
Country:
Italy
Number:
26687/2020
Court:
Corte Suprema di Cassazione
Parties:
Tiberias Plast Ltd v. Sandretto Industrie S.r.l.

Keywords

LACK OF CONFORMITY OF GOODS - BURDEN OF PROOF - PLACED ON THE BUYER ACCORDING TO GENERAL PRINCIPLE ONUS PROBANDI INCUBIT EI QUI DICIT (ART. 7(2) CISG)

BUYER'S RIGHT TO REDUCTION OF PRICE (ART. 50 CISG)

Abstract

An Italian seller and an Israelian buyer concluded a contract for the sale of an injection moulding machine to be used in the production of plastic items. A controversy arose between the parties as to the quality of the machine that was brought before the Italian Courts. In the first and second tiers, the Courts found for the seller. The buyer appealed to the Supreme Court.

The Supreme Court confirmed the lower’s Courts findings. In so doing, the Court rejected the buyer’s argument that the Court of Appeal had erred in interpreting Art. 35 CISG. In particular, the Court observed that it was correctly ascertained that, even if the machine had shown some defects, it had nevertheless served the purpose for which goods of the same kind would ordinarily be used (Art. 35(2)(b) CISG). Therefore, the Court had rightfully held the buyer entitled to a reduction of the price under Art. 50 CISG.

Furthermore, the Court, in rejecting the buyer’s contention that the burden to prove that the machinery was not conforming was placed on the seller, observed that Italian law places this onus on the buyer and that no contrary indication can be inferred from the Convention. Indeed, although the Convention does not contain any explicit rule on the point, nonetheless it does contain provisions from which the general principle onus probandi incubit ei qui dicit can be derived. To this end, the Court quoted the first paragraph of Art. 38, which places the burden of examining the goods or having them examined in the shortest possible time on the buyer, and to the first paragraph of Art. 79, which gives to the defaulting party the burden of proving that performance was rendered impossible due to an event amounting to an exemption under the same provision.

Fulltext

Svolgimento del Processo
1. 1 La società Tiberias Plast Ltd ha proposto ricorso, sulla scorta di otto motivi, per la cassazione
della sentenza della Corte d’appello di Torino che ha integralmente confermato la sentenza
del tribunale della stessa città che l’aveva condannata a pagare alla società Sandretto Industrie s.r.l. in amministrazione straordinaria la somma di Euro 220.555,09 – a fronte di una domanda giudiziale di Euro 236.388,92 – a titolo di residuo corrispettivo per la vendita di una pressa ad iniezione per la produzione di oggetti in plastica modello [...].
2. 2 La Corte subalpina ha disatteso l’eccezione di inadempimento ed ha accolto solo limitatamente la domanda di riduzione del prezzo per vizi e mancanza di qualità della cosa venduta sollevate dalla compratrice.
2.1. 3 Il giudice d’appello ha, in primo luogo, affermato che la Tiberias Plast, pur avendo denunciato
alcuni difetti di funzionamento del macchinario, non aveva però mai contestato la conformità
della pressa al tipo ordinato, nè aveva mai sostenuto l’assoluta inidoneità della stessa all’uso
cui era destinata. Sulla scorta delle risultanze della c.t.u. – e dal dato oggettivo che il macchinario aveva lavorato per lungo tempo la Corte territoriale ha altresì stabilito che, pur non potendosi negare l’esistenza di qualche imperfezione originaria della pressa, questa aveva tuttavia funzionato ed era stata utilizzata per il suo scopo. In particolare, nell’impugnata sentenza si argomenta come, nonostante l’accertata mancanza del cilindro bimetallico, la pressa, secondo la valutazione del c.t.u., «avesse conservato integra la sua inidoneità produttiva» (pag. 7, ultimi due righi), cosicchè la mancanza di tale pezzo poteva «tutt’al più giustificare una riduzione del corrispettivo della misura che è stato oggetto di stima del c.t.u., da ritenersi attendibile in ordine al quantum e non inficiata da errore di quantificazione» (pag. 8, primo capoverso).
2.2. 4 In secondo luogo la Corte territoriale, dissentendo dall’argomentazione spesa nell’appello
della Tiberias Plast, ha ascritto a quest’ultima l’onere di chiedere l’accertamento tecnico preventivo ex art. 1513 c.c., richiamando, al riguardo, la giurisprudenza che pone a carico del compratore l’onere di esaminare la cosa acquistata per rilevare eventuali vizi e denunciarli nei termini; sulla scorta di tale premessa, nell’impugnata sentenza si sottolinea come, nella specie, la società acquirente si sarebbe limitata a denunce generiche in ordine a difetti di struttura o funzionamento della pressa, senza, tuttavia, procurarsi la prova piena delle sue doglianze, in tal modo soggiacendo all’aggravamento dello standard probatorio previsto dall’art. 1513 c.c., comma 2.
3. 5 La società Sandretto Industrie s.r.l. in Amministrazione Straordinaria ha presentato controricorso.
4. 6 La causa è stata chiamata alla pubblica udienza del 9 settembre 2020, per la quale le parti non hanno depositato memorie e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come da verbale.
Motivi della Decisione
5. 7 Con il primo motivo di ricorso, riferito dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la Tiberias Plast Ltd deduce la nullità della sentenza per omessa pronuncia sul motivo di appello con cui essa aveva censurato
la sentenza di primo grado per avere erroneamente adottato una nozione di conformità della
cosa venduta non corrispondente a quella prevista dall’art. 35 della Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di merci. Nel motivo di appello si sosteneva che la nozione di conformità della cosa venduta prevista dalla Convenzione di Vienna imporrebbe, a differenza dal diritto italiano, di tener conto, con riferimento alla vendita di beni produttivi, della capacità produttiva della cosa venduta, da declinare nella duplice forma della basilare capacità di produrre oggetti di materiale plastico e della più raffinata capacità di realizzare oggetti «tecnici», di natura complessa. Nell’odierno ricorso la Tiberias Plast Ltd lamenta che la Corte torinese non si sarebbe pronunciata in alcun modo su detto motivo di appello, omettendo di esplicitare la nozione di conformità della cosa venduta posta a base della propria pronuncia.
5.1. Il motivo non può trovare accoglimento. La Corte territoriale – dopo aver riportato compiutamente in sentenza (pag. 5, in principio) il motivo di appello in relazione al quale il ricorrente deduce il vizio di omessa pronuncia – si è pronunciata implicitamente su tale motivo, rigettandolo; alla pagina 7, ultimo rigo, della sentenza, infatti, la Corte torinese, facendo proprie le conclusioni del c.t.u., scrive che «qualche imperfezione originaria» non aveva «impedito alla macchina di funzionare e di essere utilizzata per il suo scopo», concludendo che, nonostante la mancanza del cilindro bimetallico, la pressa aveva «conservato integra la sua idoneità produttiva». Tale affermazione recepisce, mediante il riferimento alla nozione di «idoneità produttiva», proprio la nozione di conformità della cosa venduta a cui si fa riferimento nell’art. 35 della Convenzione di Vienna («le merci sono conformi al contratto solo se: a) sono atte agli usi ai quali servirebbero abitualmente merci dello stesso genere...», così implicitamente rigettando il motivo di appello con cui si contestava al primo giudice di essersi discostato da tale nozione.

5.2. 9 Non sussiste, dunque, il denunciato vizio di omessa pronuncia, dovendo qui richiamarsi il consolidato principio, a cui il Collegio intende dare continuità, che «il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132 c.p.c., n. 4, che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito. Ne consegue che il vizio di omessa pronuncia – configurabile allorchè risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto – non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto» (così Cass. 407/06, Cass. 12652/20).

6. Il secondo e il terzo motivo di ricorso sono presentati dalla società Tiberias come alternativi.
Essi muovono dalla comune premessa che, al contrario di quanto affermato nella sentenza gravata, l’odierna ricorrente aveva contestato la conformità del bene venduto – da intendere, in conformità alla Convenzione di Vienna, come idoneità produttiva – in quanto aveva lamentato il mancato raggiungimento degli obiettivi di produttività minima richiesti per quel tipo di macchinario.
7. Sulla scorta della suddetta premessa, con il secondo motivo di ricorso, riferito dell’art. 360
c.p.c., n. 4, in relazione alla dedotta violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, si deduce la nullità della sentenza per motivazione contraddittoria, e quindi inesistente, in ordine alla questione della contestazione dei vizi della cosa venduta da parte dell’acquirente. Secondo la ricorrente, se si assume che la Corte d’appello abbia correttamente recepito la nozione di conformità del bene come attitudine produttiva del medesimo, la sentenza risulterebbe nulla per radicale contraddittorietà, in quanto vi si afferma (a pag. 6, penultimo cpv.), da un lato, che la Tiberias Plast «non ha mai contestato la conformità della pressa al tipo ordinato» e, dall’altro, che la stessa Tiberias Plast ha denunciato «alcuni difetti di funzionamento del macchinario (cfr. doc. 4–5 e 6)».
7.1. Il Collegio osserva che tra le due affermazioni sopra trascritte non sussiste alcun insanabile contrasto logico, in quanto a presenza di alcuni difetti non implica necessariamente la non conformità della cosa venduta, nemmeno se per «non conformità» si intenda la «inidoneità produttiva» della cosa; in astratto ben può accadere, infatti, ciò che, secondo la Corte torinese
(si veda pag. 7, quinto cpv., della sentenza), è accaduto nella vicenda in esame, ossia che le imperfezioni della cosa venduta non impediscano alla stessa di essere utilizzata per il proprio scopo.
7.2. In realtà il mezzo di ricorso in esame non lamenta una contraddizione tra due affermazioni
della sentenza, bensì il preteso travisamento delle risultanze di causa in cui la Corte d’appello
sarebbe incorsa affermando che l’odierna ricorrente non aveva mai contestato «la conformità della pressa al tipo ordinato». La ricorrente argomenta, per contro, che le contestazioni dei difetti della cosa venduta contenute nelle lettere prodotte dalla Tiberias Plast come docc. 4, 5 e 6 del proprio fascicolo di primo grado investivano «proprio quella capacità produttiva che deve formare oggetto della nozione di conformità della cosa venduta» (pag. 19, primo cpv., del ricorso), sottolineando come nella lettera da lei prodotta come doc. 6 si lamentava che la pressa non avesse «potuto raggiungere i requisiti, ne con riguardo alla qualità del prodotto, ne con riguardo alla capacità di fornire prodotti in tempo» (pag. 17, nota 2, del ricorso).
7.3. Il motivo in esame è dunque infondato, giacchè l’erronea interpretazione di un documento e,
più in generale, l’erroneo apprezzamento delle risultanze istruttorie può risolversi un error in judicando, ma non attinge la validità della sentenza. Va qui ribadito, infatti, il principio – già affermato da questa Corte nella sentenza n. 22598/18 – che l’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6 e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
8. Con il terzo motivo di ricorso, formulato in alternativa al secondo motivo sulla scorta della premessa riportata nel precedente paragrafo 6, la ricorrente deduce il vizio di violazione di legge – e precisamente dell’art. 35 della Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di merci – in cui la Corte di appello sarebbe incorsa ove si assuma che essa abbia recepito una nozione di conformità della cosa venduta non comprensiva dell’attitudine produttiva della stessa. La Convenzione, si argomenta nel mezzo di ricorso in esame, non «conosce distinzioni tra vizio, mancanza di qualità, aliud pro alio etc. elaborata dalla giurisprudenza locale, ma conosce unicamente la nozione di conformità (e della sua mancanza)» (pag. 20, primo cpv., del ricorso). Sotto altro aspetto la ricorrente deduce che l’impugnata sentenza instaurerebbe una relazione priva di giuridico fondamento tra il contenuto delle contestazioni mosse dal compratore alla conformità della cosa venduta ed il contenuto della tutela giudizialmente richiesta dal medesimo compratore nei confronti del venditore.
8.1. Anche il terzo motivo va disatteso.
8.2. Per quanto riguarda la prima delle due doglianze sopra riportate, relativa alla presunta violazione dell’art. 35 della Convenzione di Vienna in cui la Corte subalpina sarebbe incorsa collegando a tale disposto una distinzione tra vizi, mancanze di qualità e aliud pro alio propria del diritto interno ma ignota alla disciplina convenzionale, è sufficiente rilevare che la ratio decidendi dell’impugnata sentenza non si fonda su ragioni di diritto collegate alle distinzioni concettuali a cui si fa riferimento nel motivo in esame, bensì sul giudizio di fatto che, per un verso, ha escluso «l’esistenza di gravi difetti anche perchè la pressa risultava aver lavorato per molti anni in maniera intensiva» (pag. 7, rigo 1, della sentenza) e, per altro verso, ha accertato che «qualche imperfezione originaria» non aveva «impedito alla macchina di funzionare e di essere utilizzata per il suo scopo» (pag. 7, quinto capoverso). Sulla scorta di tale giudizio di fatto, la decisione concretamente adottata dalla Corte territoriale, che ha ritenuto giustificabile «una riduzione del corrispettivo nella misura che è stata oggetto di stima del c.t.u.» (pag. 8, primo rigo, della sentenza) risulta coerente col disposto dell’art. 50, primo periodo, della Convenzione di Vienna («In caso di difetto di conformità delle merci al contratto, sia che il prezzo sia stato pagato o no, l’acquirente può ridurre il prezzo proporzionalmente alla differenza fra il valore che le merci effettivamente consegnate avevano al momento della consegna, ed il valore che merci conformi avrebbero avuto in tale momento»). Donde l’insussistenza del denunciato vizio di violazione della disciplina convenzionale.
8.3. Con la seconda delle due doglianze sviluppate nel motivo in esame la ricorrente attinge la seguente affermazione dell’impugnata sentenza: «la stessa Tiberias, d’altronde, in primo grado si è limitato ad domandare la riduzione del prezzo dovuto a causa della presenza di vizi e della mancanza di qualità, mentre non ha mai sostenuto l’assoluta inidoneità del macchinario all’uso al quale era stato destinato» (pag. 5, ultimo capoverso, della sentenza). Secondo la ricorrente, con tale affermazione la Corte territoriale avrebbe instaurato un indebita connessione tra il vizio denunciato dalla compratrice ed il rimedio dalla stessa giudizialmente richiesto. La doglianza è infondata. La sentenza impugnata non instaura alcuna connessione tra il vizio denunciato dalla Tiberias Plast e la tutela dalla stessa richiesta, ma si limita a sottolineare che l’odierna ricorrente, da un lato, non aveva mai sostenuto «l’assoluta inidoneità del macchinario all’uso al quale era stato destinato» e, d’alto lato, aveva proposto soltanto una domanda di riduzione del prezzo per vizi e mancanza di qualità della cosa venduta e non anche una domanda di risoluzione del contratto; domanda alla quale del resto – si argomenta a pag. 7, quinto cpv., della sentenza – la stessa Tiberias Plast aveva tacitamente rinunciato, avendo utilizzato per anni la pressa di cui si tratta.
9. Anche il quarto e quinto motivo di ricorso sono proposti in alternativa fra loro: essi si fondano
sulla comune premessa che l’impugnata sentenza fa proprie le risultanze della c.t.u. svolta nel giudizio di primo grado, nonostante che l’odierna ricorrente avesse chiaramente contestato tali risultanze già nel giudizio di primo grado e, poi, con l’appello.
10. Sulla scorta della suddetta premessa, con il quarto motivo di ricorso, riferito dell’art. 360
c.p.c., n. 4, in relazione alla dedotta violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, si deduce la nullità della sentenza per motivazione contraddittoria, e quindi inesistente, in ordine all’apprezzamento
delle risultanze istruttorie. In particolare, secondo la ricorrente, l’affermazione, su cui poggia la ratio decidendi della sentenza impugnata – che recita: «tenuto conto dei risultati della c.t.u. e del dato riscontrato oggettivamente che il macchinario risultava aver lavorato per lungo per tempo, ritiene la Corte che, pur non potendosi negare l’esistenza di qualche imperfezione originarla come da denunce incontestate (doc. 4 – 5 – 6 di Tiberias), ciò non abbia impedito alla macchina di funzionare e di essere utilizzata per il suo scopo» (pag. 7, quinto cpv., della sentenza) – sarebbe intimamente contraddittoria, perchè, mentre recepisce le risultanze della c.t.u. secondo cui la macchina aveva funzionato ed era stata utilizzata per il suo scopo, al contempo «ammette la verità di fatti contrastanti con le risultanze di tale c.t.u., cioè le doglianze di cui ai docc. doc. 4, 5 e 6 dell’esponente» (pag. 23, terzo cpv. del ricorso).
10.1. 21 Il motivo è infondato, perchè la contraddizione denunciata dal ricorrente non sussiste. La
Corte territoriale ha ritenuto esistenti i vizi della cosa venduta denunciati nelle lettere di contestazione prodotte dalla Tiberias Plast documenti, ma, sulla scorta dell’accertamento peritale, ha ritenuto che – contrariamente a quanto quest’ultima aveva lamentato in tali lettere e, successivamente, aveva dedotto in giudizio per resistere alla avversa domanda di pagamento del saldo del prezzo – non vi fosse prova che tali vizi, espressamente qualificati come «qualche imperfezione», avessero inciso sull’idoneità produttiva della pressa; ciò sul rilievo, costituente giudizio di fatto, che, avendo il macchinario lavorato per molto tempo, la presenza di alcuni problemi di funzionamento del medesimo «non può equivalere a prova della responsabilità del venditore in quanto rimane il dubbio tra esistenza genetica dei difetti o ascrivibilità del loro insorgere a cause successive (ad esempio incuria, difetto di manutenzione)» (pag. 10, ultimo cpv., della sentenza). Non sussiste quindi, alla stregua dei principi giurisprudenziali ricordati nel precedente paragrafo 7.3., la denunciata nullità della sentenza.
11. Con il quinto motivo di ricorso, riferito dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la società Tiberias Plast Ltd deduce la violazione di legge in relazione alla corretta nozione di conformità del bene ai sensi della Convenzione di Vienna nella valutazione delle risultanze di causa. Ad avviso della ricorrente, l’unico modo per sciogliere la contraddizione motivazionale denunciata nel precedente motivo di gravame consisterebbe nell’ipotizzare che la Corte d’appello abbia recepito una nozione di conformità della cosa venduta che non comprende la relativa attitudine produttiva; in tal modo, tuttavia, risulterebbe violata la disposizione di cui all’art. 35
delle Convenzione di Vienna. Lo stesso riferimento dell’impugnata sentenza alla rinuncia tacita all’azione di risoluzione conseguente al protratto utilizzo della cosa venduta confermerebbe, si argomenta nel motivo, la dedotta violazione delle disposizioni della Convenzione di Vienna, non sussistendo nella normativa convenzionale alcuna distinzione «tra una non conformità che si traduce in azione di risoluzione ed non conformità «minore» (pag. 25, primo cpv., del ricorso).
11.1. Il quinto motivo ricalca sostanzialmente le argomentazioni già sviluppate nel terzo motivo e
va disatteso per le stesse ragioni già enunciati a proposito di quello. Preliminarmente va evidenziata l’irrilevanza dell’affermazione svolta nella sentenza impugnata in ordine alla rinuncia della Tiberias Plast all’azione di risoluzione contrattuale, giacchè tale azione non è stata esercitata nel presente giudizio. E’ quindi palese la carenza di interesse della ricorrente a dolersi di tale affermazione. Ciò posto, il Collegio osserva che, contrariamente a quanto argomentato nel motivo, la Corte d’appello non ha affermato che la conformità della cosa non comprende anche la relativa idoneità produttiva, ma ha ritenuto che, nella specie, l’inidoneità produttiva della cosa venduta non fosse stata dimostrata; cosicchè la pressa per cui è causa doveva ritenersi «non conforme» non perchè inidonea al proprio scopo, ma perchè presentante talune imperfezioni che ne diminuivano il valore nella, modesta, misura nei cui limiti la richiesta di riduzione del prezzo avanzata dalla Tiberias Plast è stata accolta ai sensi dell’art. 50 della Convenzione di Vienna.
12. Con il sesto motivo di ricorso, riferito dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la società Tiberias Plast Ltd deduce la violazione di legge in cui la Corte territoriale sarebbe incorsa ascrivendo alla compratrice l’onere di richiedere l’accertamento tecnico preventivo dei vizi della cosa venduta di cui all’art.1513 c.c.. Nel motivo di ricorso si argomenta che la norma enunciata nell’art.1513 c.c., deve ritenersi neutra rispetto al riparto, tra compratore venditore, dell’onere di provare i vizi della cosa venduta; onere gravante, ad avviso della ricorrente, sul venditore.
12.1. Il motivo non può trovare accoglimento. Se infatti va condivisa l’argomentazione della ricorrente secondo cui la disposizione di cui all’art. 1513 c.c., deve ritenersi neutra rispetto
alla questione del riparto dell’onere della prova, come fatto palese dal riferimento di tale disposizione alla «parte interessata», non può però condividersi l’ulteriore affermazione della ricorrente secondo cui, nella specie, l’onere di provare la mancanza di vizi della pressa venduta graverebbe sulla venditrice. In questo giudizio a Tiberias Plast ha domandato la riduzione del prezzo deducendo l’esistenza di vizi della merce; l’esistenza di tali vizi, in quanto fatto costitutivo della sua domanda, gravava quindi su di lei. Il precedente di questa Corte invocato dal ricorrente (Cass. 20110/13) risulta infatti superato dal più recente insegnamento delle Sezioni Unite Civili, che, con la sentenza n. 11748/19, hanno chiarito che, in materia di garanzia per i vizi della cosa venduta di cui all’art. 1490 c.c., il compratore che esercita le azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo di cui all’art. 1492 c.c., è gravato dell’onere di offrire la prova dell’esistenza dei vizi. Nè indicazioni di segno contrario possono ricavarsi dalla Convenzione di Vienna, la quale – pur non dettando alcuna regola esplicita sulla ripartizione tra compratore e venditore dell’onere di provare la non conformità al contratto della cosa venduta – contiene tuttavia disposizioni dalle quali emerge l’allineamento della disciplina convenzionale al principio generale onus porbandi incubit ei qui dicit; ci si riferisce, in particolare, dell’art. 38, comma 1, che addossa all’acquirente l’onere di esaminare le merci o farle esaminare nel termine più breve possibile, ed dell’art. 79, comma 1, che grava la parte inadempiente dell’onere di provare la non imputabilità dell’inadempimento, così implicitamente addossando alla parte che tale inadempimento ha dedotto l’onere di dimostrarne la sussistenza.
13. 26 Con il settimo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la nullità della sentenza per omessa pronuncia su «altri motivi di appello», ossia, come si specifica nell’esposizione della doglianza,
sulle censure mosse nell’appello della Tiberias Plast avverso le conclusioni della c.t.u.; tali censure lamentavano la sottovalutazione degli effetti economici dell’eccessivo riscaldamento
del macchinario, che aveva reso necessarie periodiche interruzioni della produzione, nonchè la mancata valutazione dei costi degli interventi manutentivi effettuati su detto macchinario nell’arco temporale non preso in considerazione dal consulente di ufficio.
13.1. Il motivo va disatteso alla stregua dei principi di diritto già richiamati nel precedente paragrafo
5.2 in ordine alla esatta perimetrazione del vizio di omessa pronuncia. Osserva al riguardo il Collegio che le questioni poste nel motivo di appello sul quale la Corte piemontese avrebbe, secondo la ricorrente, omesso di pronunciarsi non veicolavano domande o eccezioni, ma si risolvevano in argomentazioni critiche nei confronti della c.t.u., che il giudice di secondo grado ha implicitamente disatteso giudicando la relazione del consulente tecnico di ufficio attendibile e ben motivata e ponendola a fondamento della decisione. Donde l’insussistenza del vizio denunciato.
14. Con l’ottavo motivo – rubricato «Nullità del procedimento o violazione di legge. Sui capi di
prova non accolti dai giudici di merito» – la ricorrente lamenta la mancata ammissione del capitolo di prova testimoniale con cui si chiedeva ad un dipendente della Tiberias Plast di confermare i diari di produzione di tutte le macchine fornite dal venditore; conferma che, si argomenta nel mezzo di ricorso in esame, non aveva alcuna portata valutativa e avrebbe potuto fornire la dimostrazione processuale del cattivo funzionamento della pressa per cui è causa.
14.1. Il motivo è inammissibile in ragione della totale genericità della sua formulazione. La ricorrente, infatti, non specifica le ragioni della dedotta nullità della sentenza, nè in cosa si sostanzierebbe l’asserita violazione di legge, omettendo di indicare le norme con cui l’impugnata decisione si porrebbe in contrasto. In ogni caso va qui ribadito il fermo insegnamento di questa Corte alla cui stregua il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi risulti priva di fondamento (Cass. 5654/17, Cass. 16214/19).
15. In definitiva, nessuno dei motivi di ricorso può trovare accoglimento e, conseguentemente, il ricorso va rigettato.
16. 31 Le spese seguono la soccombenza.
17. 32 Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente,
del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, se dovuto.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. 33 Condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di cassazione,
che liquida in Euro 7.000, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 9 settembre 2020. Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2020}}

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