Data
- Date:
- 03-02-2020
- Country:
- Switzerland
- Number:
- 12.2018.110
- Court:
- Tribunale d’appello Ticino
- Parties:
- --
Keywords
INTERPRETATION OF PARTY'S STATEMENT AND CONDUCT - ACCORDING TO PARTY'S OWN INTENT WHERE OTHER PARTY KNEW OR COULD NOT HAVE BEEN UNAWARE OF SUCH INTENT (ART. 8(1) CISG)
INTERPRETATION OF STATEMENTS AND CONDUCT - ACCORDING TO UNDERSTANDING OF REASONABLE PERSON OF THE SAME KIND AS OTHER PARTY IN SAME CIRCUMSTANCES (ART. 8(2) CISG)
Abstract
An Italian steel producer and a Swiss buyer concluded a contract for the sale of steel coils. The contract set out the contractual price, though not specifically mentioning whether the Value Added Tax (VAT) should be added to the agreed amount. The Swiss buyer initially sold the steel coils to a Turkish party, but subsequently asked the seller to deliver the goods in Spain. The Italian seller did not charge the VAT but, when the Italian tax authorities later charged the tax to the Italian producer, this latter sued the buyer, arguing that the VAT should be borne by him.
The Court of Appeal confirmed the lower’s Court holding that principles of tax law determined whether the buyer had to bear the VAT costs and also agreed that, in the present case, the answer was in the negative. However, the Court of Appeal contended that the result would not change even if the seller’s claim was examined in the light of the CISG’s provisions.
After observing that the sales transaction between the parties had an international character and was governed by CISG according to the PIL rules of the forum, the Court applied Arts. 8 and 9 of the Convention to conclude that it was not reasonable for the seller to expect that the buyer would have paid the VAT. Indeed, even if the place of the final destination of the goods changed from Turkey to Spain, the seller did not charge the tax, and the seller’s invoice expressly stated that the VAT was not due. As the VAT is a tax, which is due under the law of the seller’s country, it was up to the seller to know tax regulations of its own country and to calculate the contractual price taking into account all the necessary costs.
Fulltext
(...)
A.
Nel corso del mese di gennaio 2013, AP 1, società italiana attiva nella produzione e vendita di lamiere d’acciaio e di coils, e AO 1, società svizzera specializzata nel commercio internazionale di acciaio e materie prime ferrose, hanno concluso un contratto di compravendita avente per oggetto la fornitura di 1'160 tonnellate di coils in diversi formati per un prezzo complessivo di Euro 435'240; la conferma d’ordine non indicava nulla in relazione all’IVA (doc. B).
Stando a quanto pattuito inizialmente questa merce avrebbe dovuto essere trasportata in Turchia (doc. C). In seguito le parti hanno però convenuto un cambiamento di destinazione e deciso di trasportare e consegnare la stessa in Spagna (doc. D).
In data 11 febbraio 2013 AP 1 ha emesso la relativa fattura di Euro 435'240.-; sul documento figurava quale destinazione della merce «[…] SPAIN» mentre che in merito al prezzo esso riportava l’indicazione «Totale merci lordo 429 234.00» «Totali merce netto 429 234.00» «Non imponibile art. 8 comma 1 lett a) DPR 633/72» (doc. D). La fattura è stata regolarmente pagata da AO 1.
In data 19 febbraio 2013 la merce è quindi stata imbarcata al porto di […] per essere trasportata al porto di […] in Spagna, dove è giunta regolarmente (doc. 2, 3, 4, 5, 6).
B.
Tra fine settembre e inizio ottobre 2013, AP 1 ha inviato delle email alla controparte chiedendo, in un primo tempo, che le venisse consegnata copia della bolla doganale di esportazione della merce e, in seguito, che le venissero forniti i dati di partita IVA della società spagnola destinataria finale della merce (doc. F, G, H, I, L, M, O e 6). Dopo aver ottenuto quanto richiesto, in data 24 ottobre 2010 AP 1 ha stornato la precedente fattura, emesso una nota di credito a favore della convenuta (doc. N, non prodotto agli atti) e allestito una nuova fattura a nome società spagnola menzionata poc’anzi per un importo di Euro 435’240.-; anche in questo caso sul documento figurava quale luogo di destinazione «[…] (SPAIN)» mentre che in relazione al prezzo esso riportava l’indicazione «Non imponibile IVA ai sensi dell’Art. 41 D.L. 513dd.31.12.92» (doc. P). Questo procedere è stato contestato da AO 1 che, con scritto del 25 novembre 2013 (e non 2015 come erroneamente indicato nella sentenza pretorile), ha respinto la nota di credito «in quanto non concordata» (doc. Q).
C.
Constatato che la società spagnola destinataria della merce non era regolarmente identificata ai fini IVA (ciò che impediva di fatto la realizzazione di una cessione intracomunitaria in esenzione IVA), AP 1 ha quindi inviato, in data 24 maggio 2014, a AO 1 una lettera (doc. U) con cui le comunicava di aver provveduto a regolarizzare la fatturazione, attraverso l’emissione di una nota di credito a storno della precedente fattura (doc. R) e conseguente emissione di una nuova fattura comprensiva di Euro 90'139.14 a titolo di IVA (doc. S). Con scritto del 10 giugno 2014 AO 1 ha contestato la legittimità di tale procedere e osservato come tutti i dettagli della cessione, tra cui la destinazione finale della merce, erano ben noti alla venditrice (doc. V).
D.
Nel corso del mese di settembre 2014, AP 1 ha quindi regolarizzato l’operazione qui in discussione con il fisco italiano attraverso la procedura di ravvedimento operoso, pagando oltre all’IVA dovuta di EUR 90'139.14, gli interessi ed una sanzione fiscale, per un esborso complessivo di Euro 107'239.03 (doc. Z). Essa ha quindi fatto spiccare nei confronti dalla convenuta il PE n. […] dell’UE di Lugano per l’importo equivalente di fr. 117'426.73, cui l’escussa ha interposto opposizione (doc. Y).
E.
Previo tentativo di conciliazione (CM. 2016.608), in data 14 novembre 2016 AP 1 ha inoltrato una petizione alla Pretura di Lugano, sezione 1, con cui ha chiesto la condanna di AO 1 al pagamento di Euro 107'239.03 oltre interessi e accessori, a titolo di risarcimento dell’IVA e della sanzione pagata al fisco italiano. In breve, essa ha sostenuto di aver ricevuto indicazioni errate dalla controparte in relazione alla destinazione della merce e all’identificazione IVA della società spagnola.
Con risposta del 19 dicembre 2016 la convenuta ha respinto la tesi della petizione e negato ogni addebito. In sintesi, preliminarmente essa ha sostenuto l’applicabilità del diritto italiano alla relazione contrattuale venuta in essere tra le parti e ha affermato che la questione dell’asserito vizio di volontà sollevata dalla controparte andava analizzata in base a questo diritto.
Essa ha quindi argomentato che l’accordo tra le parti prevedeva un prezzo complessivo di Euro 429'234.- senza ulteriore addebito IVA e ha affermato che la venditrice era perfettamente a conoscenza di tutti i dettagli dell’operazione come pure che la destinazione finale della merce era […] in Spagna come indicato nella fattura di data 11 febbraio 2013 da essa emessa. Essa ha negato che le premesse del dolo, rispettivamente dell’errore, ai sensi del diritto italiano, potessero essere considerate adempiute. Essa ha inoltre ricordato che le sanzioni fiscali hanno natura strettamente personale e non configurano un danno risarcibile ai sensi del diritto civile.
Parallelamente AO 1 ha fatto valere in compensazione una pretesa di Euro 20'000.-.
In sede di replica la parte attrice ha sostenuto l’applicabilità del diritto svizzero al contratto e ha negato di voler «mettere in dubbio la validità del rapporto concluso tra le parti medesime nonché l’esecuzione dello stesso» (replica, pag. 2 in fine e 3). Essa ha affermato trattarsi di «problematica di natura strettamente fiscale» e pertanto non influenzabile «da un discorso di giurisdizione applicabile». AP 1 ha negato nuovamente che la destinazione della merce fosse chiara e ha rimproverato alla controparte di aver voluto utilizzare il «sistema delle triangolazioni» per eludere «l’IVA a livello comunitario» (replica, pag. 3). Essa ha ribadito di essere stata raggirata e indotta in errore (replica, pag. 7) e ha asserito che l’accordo sul prezzo della fornitura con o senza IVA non sarebbe dipeso da lei ma dai passaggi di destinazione della merce (replica pag. 6). Essa ha inoltre contestato la pretesa posta in compensazione.
In sede di duplica AO 1 ha evidenziato la poca chiarezza delle argomentazioni e domande attoree e ha ribadito la propria tesi secondo cui le parti avevano concordato un prezzo finale senza IVA e i dettagli dell’operazione erano chiari alla venditrice.
Esperita l’istruttoria le parti hanno rinunciato a comparire alla discussione finale. Nei propri allegati conclusivi esse hanno confermato le rispettive antitetiche posizioni.
F.
Con sentenza del 2 luglio 2018 il Pretore ha respinto integralmente la petizione e posto tasse, spese e ripetibili a carico dell’attrice.
G.
Con atto di appello di data 3 settembre 2018 AP 1 chiede l’annullamento della decisione impugnata e il rinvio degli atti alla Pretura per nuovo giudizio, con protesta di tasse, spese e ripetibili. Mentre la convenuta con risposta del 5 ottobre 2018 postula la reiezione del gravame pure con protesta di tasse, spese e ripetibili
E considerato in diritto:
1.
L’art. 308 cpv. 1 lett. a CPC prevede che sono impugnabili mediante appello le decisioni finali di prima istanza, posto che in caso di controversie patrimoniali il valore litigioso secondo l’ultima conclusione riconosciuta nella decisione sia di almeno fr. 10'000.- (cpv. 2). Nella fattispecie tale valore supera pacificamente la soglia testé menzionata. I termini di impugnazione e risposta sono di 30 giorni (art. 311 e 312 CPC). Sia l’appello, sia la risposta sono tempestivi.
Nel concreto caso, la problematica della discrepanza tra l’ammontare della pretesa attorea fatta valere innanzi al Pretore e quella indicata nell’autorizzazione ad agire può essere lasciata aperta, stante l’esito del presente giudizio.
2.
Nella propria sentenza il Pretore, dopo aver sommariamente ripercorso i fatti, ha individuato la problematica giuridica e spiegato che la vertenza in esame riguardava il risarcimento dell’IVA, degli interessi e della sanzione fiscale pagati al fisco italiano dall’attrice. A questo proposito egli ha ricordato che, secondo la giurisprudenza del Tribunale federale, un onere fiscale e/o una conseguente sanzione, in ragione del loro carattere strettamente personale, non costituiscono un danno risarcibile secondo il diritto civile e non sono scaricabili su terzi a meno che quest’ultimo, per un proprio errore, abbia causato la sanzione del contribuente senza che lo stesso abbia commesso una colpa propria.
Sulla base degli accertamenti, il Pretore ha ritenuto che ciò non fosse il caso della presente fattispecie. In particolare, egli ha evidenziato come l’istruttoria abbia permesso di stabilire che la venditrice aveva saputo del cambiamento di destinazione della merce subito dopo l’emissione del doc. B. Stando alle parole del teste M[…] […], per una leggerezza AP 1 non avrebbe però adeguato l’indicazione nei propri documenti e omesso di fatturare l’IVA. Solo in seguito, dopo la fornitura e il pagamento della merce, la venditrice si sarebbe accorta che l’operazione non era corretta e si sarebbe attivata per cercare di regolarizzare la propria posizione. Su questa base, il Pretore ha giudicato che l’attrice non poteva essere considerata priva di colpa e pertanto non poteva riversare sulla convenuta il pagamento di quanto versato al fisco italiano.
3.
Con l’appello AP 1 ripropone nuovamente la tesi secondo cui AO 1 avrebbe fornito dati inesatti in relazione alla compravendita e imputa alla stessa l’impossibilità di effettuare una vendita in esenzione IVA, «come invece doveva essere» a suo dire «in base all’intendimento delle parti» (appello, pag. 6 in fine). Per la prima volta in questa sede, essa afferma che la vertenza deve essere esaminata dal punto di vista del diritto contrattuale e rimprovera al Pretore di non essersi espresso «sulle ragioni per cui, al momento della conclusione del contratto, le parti non avrebbero dovuto intendere che, nella misura in cui fosse stata dovuta, l’IVA sarebbe stata a carico della parte acquirente» (appello, pag. 7). A detta dell’appellante il contratto avrebbe dovuto essere interpretato in base al principio dell’affidamento ciò che avrebbe permesso di stabilire che questa imposta andava addebitata al consumatore finale. AP 1 sostiene che l’acquirente «sapeva che l’IVA era a suo carico» (appello, pag. 9). Essa contesta inoltre l’applicabilità alla presente fattispecie della giurisprudenza in ambito fiscale del Tribunale federale, citata dal Pretore, in quanto nel caso in esame «la violazione è imputabile» a AO 1 (appello, pag. 10). In più punti l’appellante lamenta inoltre una violazione del diritto di essere sentito per carenza di motivazione (appello, pag. 7 e 10) e rimprovera al Pretore di non aver
neppure preso posizione sulle ragioni per cui a livello contrattuale l’IVA resterebbe a carico dell’appellante come pure di non essersi espresso sul diritto applicabile alla relazione contrattuale.
4.
La censura relativa alla violazione del suo diritto di essere sentito per la presunta insufficiente motivazione della decisione pretorile dev’essere trattata preliminarmente, visto e considerato che, se fondata, implicherebbe già di per sé l’annullamento del giudizio impugnato e il rinvio della causa al primo giudice per la continuazione della procedura e l’emanazione di una nuova decisione, e ciò indipendentemente dalle possibilità o meno di successo del gravame nel merito (DTF 137 I 195 consid. 2.2, 144 IV 302 consid. 3.1).
4.1.
Il diritto di ottenere una decisione motivata, che deriva dal diritto di essere sentito sancito dall’art. 29 cpv. 2 Cost., offre una garanzia minima e sussidiaria rispetto al diritto processuale di cui all’art. 238 lett. g CPC. Esso impone in particolare all’autorità giudicante di indicare in maniera chiara le ragioni che l’hanno portata a decidere in un senso piuttosto che in un altro, in modo tale da permettere al destinatario di capire la portata della decisione e di proporre i rimedi adeguati con cognizione di causa (DTF 139 IV 179 consid. 2.2, 143 IV 40 consid. 3.4.3); esso non obbliga però l’autorità giudicante a pronunciarsi necessariamente su tutte le questioni e le prove proposte dalle parti, bastando che esamini i temi rilevanti per il giudizio (DTF 142 II 49 consid. 9.2, 143 III 65 consid. 5.2).
4.2.
Nel caso di specie la censura dell’appellante deve essere disattesa. Seppur in maniera piuttosto stringata il Pretore ha infatti toccato tutte le problematiche essenziali ai fini del giudizio. La motivazione della decisione pretorile, riassunta nei considerandi che precedono, può essere considerata sufficiente (per quanto al limite); dalla stessa è infatti possibile comprendere le ragioni di fatto e di diritto che avevano indotto il primo giudice a decidere a sfavore dell’attrice, tanto più che quest’ultima, nella misura in cui ha ritenuto di riproporle siccome considerate rilevanti, è stata in grado di censurarle con cognizione di causa nell’appello qui in esame. Chiarito quanto sopra, questa Camera non può esimersi dal rilevare una certa malafede di AP 1 nel rimproverare in questa sede al Pretore di non essersi espresso su tematiche che la stessa neppure ha ritenuto opportuno sollevare in prima istanza, quali ad esempio la questione dell’interpretazione contrattuale (appello, pag. 10; problematica che verrà approfondita al consid. 8).
5.
È pacifico che la relazione contrattuale venuta in essere tra AP 1 e AO 1 riveste carattere internazionale in quanto conclusa tra una società acquirente con sede in Svizzera e una società venditrice con sede in Italia e avente per oggetto una prestazione relativa alla fornitura di merce in Spagna.
Giusta l’art. 118 LDIP la compravendita di cose mobili è regolata dalla Convenzione dell’Aia del 15 giugno 1951 concernente la legge applicabile ai contratti di compravendita a carattere internazionale di cose mobili corporee (in seguito: Convenzione dell’Aia). Ai sensi dell’art. 3 cpv. 1 della Convenzione dell’Aia quando manchi, come nel caso che qui ci occupa, una dichiarazione delle parti circa il diritto applicabile la compravendita è regolata dalla legge interna del paese in cui il venditore, al momento in cui assume l’ordinazione, ha la sua dimora abituale; nel concreto caso, pertanto, dalla legge italiana. Per quanto attiene alla questione della formazione del contratto e ai diritti e obblighi che un tale contratto fa sorgere tra venditore e acquirente fa stato quanto indicato nella Convenzione delle Nazioni Unite sui contratti di compravendita
internazionale di merci dell’11 aprile 1980 (in seguito: Convenzione di Vienna; cfr. anche sentenza del Tribunale federale dell’11 dicembre 2000 inc. 4C.272/2000 consid. 1).
6.
Nel proprio giudizio il Pretore non ha ritenuto necessario esprimersi sulla questione del diritto applicabile al rapporto contrattuale ritenendo che la vertenza in esame rivestisse natura strettamente fiscale e prescindesse pertanto da un discorso di diritto applicabile ai rapporti interni tra le parti, opinione che – diversamente da quanto emerge dall’appello (pag. 7 e 10) – in prima istanza AP 1 pareva condividere (cfr. replica, pag. 3). La lagnanza sollevata in questa sede dall’appellante al riguardo quindi stupisce.
Come desumibile dalla sentenza impugnata, il Pretore, sulla base della costante e consolidata giurisprudenza del Tribunale federale in materia (per tutte DTF 134 III 59 e sentenza TF del 29 giugno 2017 inc. 4A_21/2017 consid 4.4 e 4.6 con rinvii), ha ritenuto che nel concreto caso l’IVA, i relativi interessi e la sanzione fiscale pagati da AP 1 al fisco italiano non potessero essere fatti ricadere sulla convenuta; questo essenzialmente per due ragioni: da un canto in forza del carattere strettamente personale di questi oneri e relativa sanzione e dall’altro in quanto riconducibili a una colpa della contribuente medesima. Opinione quella del Pretore che – come si dirà nei considerandi che seguono – si rivela corretta.
7.
Malgrado i tentativi dell’appellante di fornire una versione rivisitata – e a lei più favorevole – dei fatti, nell’intento di far ricadere la colpa della mancata fatturazione dell’IVA sulla controparte, dagli atti emerge in maniera chiara che AP 1 è stata informata del cambiamento di destinazione della merce subito dopo l’emissione della conferma d’ordine doc. B., tant’è che nella successiva fattura dell’11 febbraio 2013 figura già l’indicazione della Spagna quale destinazione finale (doc. D); nonostante questa modifica il prezzo riportato sulla fattura doc. D rispecchia quanto previsto nella conferma d’ordine doc. B e non prevede il pagamento dell’IVA, anzi l’operazione è descritta – erroneamente (come verrà poi accertato) – come «non imponibile» (doc. D in fine).
Come illustrato in sede di audizione dal teste M[…] […], della cui attendibilità non vi è motivo di dubitare, ciò è da imputare a «una leggerezza» dell’appellante medesima che non ha «aggiornato» i dati all’interno del software informatico impedendo, di fatto, il computo dell’IVA nella fattura finale (audizione testimoniale cit. del 5 ottobre 2017, pag. 5 seg. qui data per trascritta).
Assolutamente non provate si rivelano le asserzioni di AP 1 secondo cui, in questo frangente, AO 1 le avrebbe fornito delle assicurazioni – poi rivelatesi inveritiere – in relazione all’identificazione IVA della società spagnola destinataria della merce e questo al fine di effettuare una vendita intracomunitaria in esenzione IVA (appello, pag. 5 seg.).
Al contrario, dall’incarto emerge che solo in un secondo tempo, ovvero nel settembre – ottobre 2013, la venditrice, accortasi del mancato computo dell’IVA si è attivata per cercare di sanare la situazione e verificare la possibilità di perfezionare una vendita in esenzione IVA (doc. F, G, H, I, L, M, O e 6), circostanza che trova sostanziale conferma anche nelle parole del teste M[…] […]; tale operazione non ha però potuto essere perfezionata proprio perché la società spagnola non era identificata ai fini IVA in Spagna (cfr. audizione cit. pag. 6). Come visto, AO 1 si è opposta al successivo addebito dell’IVA (doc. S).
Con ogni evidenza, alla luce di quanto precede, il mancato pagamento dell’IVA nei termini previsti e la necessità per AP 1 di avviare la procedura di ravvedimento al fine di regolarizzare la propria situazione nei confronti del fisco italiano (con le note conseguenze economiche: pagamento dell’IVA, degli interessi e di una sanzione) – non può che essere addebitato alla venditrice medesima e alla sua negligenza. Ne consegue pertanto, in virtù della giurisprudenza citata poc’anzi, l’impossibilità per la stessa di far ricadere questi oneri su AO 1. La decisione pretorile si rivela pertanto corretta e la pretesa attorea va quindi integralmente respinta.
8.
Non si arriverebbe a esito diverso neppure se la censura appellatoria secondo cui il Pretore avrebbe dovuto analizzare la tematica non dal punto di vista fiscale bensì da quello contrattuale e determinare se, in base agli intendimenti delle parti, l’IVA fosse o meno a carico dell’acquirente, fosse corretta (appello, pag. 7 segg.).
8.1.
Preliminarmente è necessario chiarire che la questione dell’interpretazione contrattuale va trattata secondo i principi della Convenzione di Vienna, che – come illustrato in precedenza (consid. 5) – regolamenta la formazione dell’accordo in esame come pure i diritti e gli obblighi che lo stesso fa sorgere tra venditore e acquirente, e non in base al diritto svizzero a cui si rifà – erroneamente – l’appellante (appello, pag. 7).
Giusta l’art. 8 della Convenzione di Vienna le indicazioni e gli altri comportamenti di una parte devono essere interpretati secondo l’intenzione di quest’ultima, se l’altra parte conosceva o non poteva ignorare tale intenzione (cpv. 1). Se ciò non è desumibile, le indicazioni e gli altri comportamenti di una parte devono essere interpretati secondo il senso che avrebbe dato loro una persona ragionevole della stessa qualità dell’altra parte, posta nella stessa situazione (cpv. 2). Inoltre, per appurare l’intenzione di una parte o il parere che avrebbe avuto una persona ragionevole, occorre tenere conto delle circostanze pertinenti, in special modo delle trattative che possono essere avvenute tra le parti, delle abitudini che si sono stabilite fra esse e di qualsiasi comportamento ulteriore delle parti.
L’art. 9 della Convenzione di Vienna precisa inoltre che le parti sono vincolate dagli usi ai quali hanno aderito e dalle abitudini che si sono stabilite fra esse (cpv. 1). Salvo convenzione contraria tra le parti, queste sono ritenute essersi tacitamente riferite nel contratto e per la sua conclusione agli usi di cui erano a conoscenza o dei quali avrebbero dovuto avere conoscenza e che, nel commercio internazionale, sono ampiamente conosciuti e regolarmente rispettati dalle parti in contratti dello stesso tipo nel ramo commerciale considerato (cpv. 2).
8.2.
Nel concreto caso, è incontestato che tra le parti sia intercorso un rapporto contrattuale inerente la compravendita di coils. In relazione al prezzo, risulta dagli atti che malgrado il cambiamento di destinazione della merce dalla Turchia alla Spagna la fattura emessa da AP 1 in data 11 febbraio 2013 non solo non prevede l’addebito dell’IVA ma anzi indica espressamente la non imponibilità della transazione (doc. D). Già si è detto che non vi è alcuna prova che permetta di ricondurre questa errata indicazione a inveritiere informazioni fornite dall’acquirente, come invece sostenuto dall’appellante (consid. 7).
A non averne dubbio, l’IVA è un debito nei confronti dello Stato del venditore, che per l’appunto è il soggetto responsabile del pagamento dell’imposta nei confronti dell’erario. In quanto tale è lecito attendersi che il venditore conosca le norme in materia applicabili nella nazione in cui egli ha sede e determini il prezzo di vendita tenendo conto di questo onere.
Sarebbe irragionevole far ricadere un simile compito sull’acquirente, a maggior ragione se, come nella fattispecie in esame, l’acquirente è una società svizzera, e quindi non solo estera ma addirittura con sede al di fuori della Comunità europea.
Nel concreto caso, è pure emerso, in fase istruttoria, che l’ambito abituale di attività di AO 1 era extracomunitario e pertanto le transazioni avvenivano in esenzione IVA; stando a quanto accertato, l’operazione qui in discussione è stata il primo caso di cessione a un cliente intracomunitario.
Al riguardo Ih[…], titolare e presidente della convenuta, ha riferito: «Ripeto che la nostra attività è senza IVA trattandosi di operazioni internazionali fuori dalla Comunità europea
(…). È la prima volta che abbiamo concluso una operazione con un cliente finale spagnolo (cfr. interrogatorio del 5 ottobre 2017 cit., pag. 3).
Credibili paiono le dichiarazioni dello stesso secondo cui egli avrebbe ignorato le norme sull’IVA in vigore nella Comunità europea: «In merito alle questioni tra IVA io non ho conoscenze di alcun tipo in merito alla legislazione europea sull’IVA. Io conosco soltanto la legislazione CH riferita al mio ambito di attività. (…) Ripeto che ero completamente all’oscuro di queste tematiche fiscali oggetto di questa causa. Prima di allora non ne sapevo nulla e neppure mi interessa perché io sempre acquisto della merce con un prezzo senza IVA perché il destinatario finale è fuori europa. (cfr. interrogatorio del 5 ottobre 2017 cit., pag. 3). Affermazioni queste la cui veridicità non è stata puntualmente contestata da controparte.
Alla luce di queste circostanze e dei principi interpretativi sovraesposti, non si può ragionevolmente ritenere che AO 1 dovesse aspettarsi che la compravendita fosse soggetta all’IVA e che in questo caso la stessa sarebbe stata posta a suo carico. L’acquirente poteva legittimamente ritenere che il prezzo pattuito e indicato nella fattura doc. D fosse quello definitivo, senza alcun aggravio dell’IVA. La tesi appellatoria – esposta alle pag. da 7 a 11 dell’appello – secondo cui in base agli intendimenti delle parti, l’IVA sarebbe stata a carico dell’acquirente – non risulta minimamente comprovata.
9.
La petizione avente per oggetto il risarcimento dell’IVA, degli interessi e della sanzione fiscale pagati da AP 1 al fisco italiano va pertanto respinta e la sentenza pretorile confermata.
10.
Ne discende la reiezione dell’appello e la conferma della sentenza impugnata. La tassa di giustizia, le spese e le ripetibili di appello seguono la soccombenza dell’appellante. Il valore litigioso per un eventuale ricorso al Tribunale federale supera ampiamente i fr. 30'000.-.}}
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