Data

Date:
26-01-2021
Country:
Italy
Number:
1605
Court:
Corte di Cassazione
Parties:
Decopress Printing GmbH v. DEA S.p.A. in AS

Keywords

NOTICE OF LACK OF CONFORMITY - WITHIN A REASONABLE TIME BUT NEVER LATER THAN TWO YEARS AFTER DISCOVERY (ART. 39 CISG)

Abstract

An Italian seller and a German buyer concluded a contract for the supply of decorative paper rolls. When the price remained unpaid, the seller sued the buyer before an Italian Court. The buyer contended that the goods were not conforming and claimed for damages.

The first instance Court found for the seller; upon appeal by the buyer, the Court of Appeal confirmed the decision.

The Supreme Court, called into play by the buyer, determined that the Appellate Court had erroneously based its decision on the domestic law provisions.

In the Court’s view, indeed, the contract at stake was governed by CISG as both parties had their place of business in Contracting States (Art. 1(1)(a) CISG). Consequently, in resolving the issue as to whether the buyer had notified the lack of conformity to the seller in a timely manner, the Court of Appeal ought to have applied Art. 39 CISG and the time limit period for notification provided therein. As the Court of Appeal had failed to do so, relying instead on the shorter forfeiture periods set forth by the relevant provisions of the Italian Code Civil, the Supreme Court quashed the judgment and remanded the case to the lower Court for further decision.










Fulltext

(...)
Svolgimento del processo

Per quel che ancora qui rileva i fatti salienti di causa possono riassumersi come segue.
La s.p.a DEA in amministrazione straordinaria, avendo in più riprese fornito dei rulli di carta decorativa alla società
Decopress Engineering & Rotationsdruck Gmbh di diritto tedesco, per le quali forniture assumeva essere rimasta
creditrice per un ammontare complessivo di oltre 840.000 Euro, citò l'acquirente in giudizio.
Il Tribunale di Frosinone condannò la convenuta, la quale, costituitasi, aveva resistito alla domanda avversa, deducendo
la presenza di vizi e chiesto in via riconvenzionale la condanna dell'attrice al risarcimento del danno, a pagare quanto
ritenuto di ragione. Va soggiunto che il giudizio di primo grado, dopo essere stato interrotto a seguito della fusione per
incorporazione della convenuta nella Decopress Printing GmbH in liquidazione, era stato regolarmente riassunto dalle
parti.
La Corte d'appello di Roma, alla quale si era rivolta la Decopress Printing GmbH in liquidazione, rigettò l'impugnazione.
Ricorre l'appellante svolgendo nove motivi di censura.
La controparte resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la Decopress deduce violazione ed erronea applicazione dell'art. 1460 c.c., art. 112 c.p.c. e L.
Fall., art. 56, nonchè omessa motivazione, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.
In sintesi la ricorrente assume che la sentenza d'appello non aveva correttamente individuato il tema della decisione
(risoluzione del contratto invece che eccezione d'inadempimento) e se ciò avesse colto avrebbe dovuto concludere per
l'ammissibilità di una tale eccezione in un giudizio di cognizione ordinaria, non essendo la materia soggetta alla
procedura di accertamento del passivo concorsuale. Ciò anche tenuto conto della compensabilità del controcredito,
stante che solo l'eventuale eccedenza avrebbe dovuto soggiacere alla regola dell'insinuazione fallimentare.
Poichè l'eccezione d'inadempimento non era stata neppure esaminata dalla Corte di Roma la sentenza gravata aveva
violato l'art. 112 c.p.c..
1.1. La doglianza non supera il vaglio d'ammissibilità.
La Corte d'appello (pag. 12, non numerata) disattese le eccezioni della convenuta-appellante perchè tardive, in quanto
formulate "ben oltre i termini concessi per la precisazione delle domande ed eccezioni di cui all'art. 183 c.p.c., comma
5".
La superiore "ratio decidendi" non risulta essere stata aggredita con il motivo in esame, che, pertanto, deve qualificarsi
inammissibile, poichè non coglie nel segno.
2. Con il secondo motivo la ricorrente si duole della mancata applicazione e, comunque, della violazione della
Convenzione di Vienna dell'11/4/1980, ratificata con la L. n. 765 del 1985, ed entrata in vigore l'1/1/1988, nonchè di
"erronea ed insufficiente motivazione".
Precisa Decopress che, data la diversa nazionalità della società venditrice (italiana) e di quella acquirente (tedesca),
avrebbe dovuto trovare applicazione il combinato disposto degli artt. 38 e 39 della predetta Convenzione, di talchè i
termini di decadenza e di prescrizione non erano quelli indicati nella sentenza d'appello (otto giorni e un anno ex art.
1490 c.c.), valendo il criterio del "tempo ragionevole" al fine di valutare la tempestività della denunzia dei vizi, con la
specificazione di un termine massimo di decadenza di due anni, secondo le prescrizioni dello strumento internazionale.
Indicazione normativa che, invece, la Corte territoriale aveva obliterato, disapplicando immotivatamente la disciplina
convenzionale.
La regola convenzionale, invece, s'imponeva poichè "La preferenza dell'applicazione della Convenzione delle Nazioni
Unite, rispetto alle norme di diritto internazionale privato, si fonda essenzialmente su un giudizio di prevalenza del diritto
materiale uniforme rispetto alle norme di diritto internazionale privato", siccome chiarito in sede di legittimità dalla
sentenza di questa Corte n. 1867/2018. Nè poteva sorgere dubbio sul fatto che il rapporto dedotto, alla luce degli artt.
30 e 53 della Convenzione, fosse un contratto di compravendita.
2.1. La censura è fondata.
Il Tribunale aveva riconosciuto che la materia era regolata dalle evocate norme della Convenzione di Vienna, tuttavia
giungendo alla conclusione che era trascorso il "termine ragionevole" per la denunzia dei vizi.
Con specifico motivo d'appello, riassunto puntualmente dalla Corte di Roma, l'appellante aveva dedotto la violazione e
l'erronea applicazione dell'art. 39 della Convenzione in discorso "dato che le denunce sono state effettuate entro il
"termine ragionevole"".
La Corte d'appello, disattendendo implicitamente la censura, ha regolato l'eccezione riguardante i vizi alla stregua
dell'art. 1490 c.c., che condiziona la tempestività agli otto giorni dalla scoperta e all'anno dalla consegna, senza
spiegare in alcun modo la ragione di una tale opzione interpretativa.
Sul punto deve, pertanto, constatarsi l'omissione di precipua e intellegibile motivazione.
Pur vero che la doglianza disciplinata dal vigente art. 360, c.p.c., ed in particolare, sub n. 5), nella configurazione
imposta del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni nella L. 7 agosto 2012,
n. 134 (che trova applicazione alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore
della legge di conversione del predetto decreto), prevede la ricorribilità per il solo caso di "omesso esame circa un fatto
decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti", resta, tuttavia, denunciabile in cassazione
l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente
all'esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal
confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto
materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella
"motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di
"sufficienza" della motivazione (S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, ord.,
n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914), delle quali ipotesi, qui, ricorre, come si è anticipato, quella della mancanza assoluta
di giustificazione motivazionale.
3. In relazione all'accolto secondo motivo, quelli dal terzo al nono restano assorbiti.
In estrema sintesi, con i predetti motivi la ricorrente, rispettivamente, deduce: 3) ancora una volta l'omessa applicazione
della Convenzione di Vienna; 4) l'omesso esame concernente il fatto decisivo dell'esame della tardività dell'eccezione di
decadenza dalla garanzia per i vizi; 5) violazione e falsa applicazione degli artt. 1490, 1495 e 2909 c.c., nonchè
l'omesso esame di un fatto decisivo, avuto riguardo al prospettato giudicato interno formatosi in ordine all'accertamento
di primo grado della tempestiva denunzia dei vizi di alcune partite di merce; 6) la violazione dell'art. 1988 e degli artt.
1362 c.c. e segg. e insufficiente ed erronea motivazione, a riguardo dell'interpretazione dell'intercorso carteggio; 7)
violazione e falsa applicazione del regolamento comunitario 1206/2001 del 28/5/2001, relativo alla cooperazione fra le
autorità giudiziaria dei singoli Stati dell'Unione, a riguardo della prova testimoniale che avrebbe dovuto essere assunta
in Germania; 8) violazione dell'art. 111 Cost. e motivazione omessa, per essere stata disattesa la richiesta di nomina di
CTU; 9) violazione dell'art. 210 c.p.c., per avere il giudice dichiarato inammissibile la richiesta d'esibizione documentale,
nonchè motivazione erronea o contraddittoria. I predetti motivi restano assorbiti.
All'evidenza i motivi sopra sunteggiati subiscono l'effetto dell'assorbimento cd. proprio, stante che l'accoglimento del
secondo motivo ne rimanda il vaglio al merito.
4. Ciò posto la sentenza deve essere cassata con rinvio in relazione all'accolto motivo e il Giudice del rinvio regolerà
anche le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
accoglie il secondo motivo, dichiara inammissibile il primo e assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione
all'accolto motivo e rinvia alla Corte d'appello di Roma, altra Sezione, anche per il regolamento delle spese del presente
giudizio di legittimità.


















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