Data
- Date:
- 17-06-2019
- Country:
- Italy
- Number:
- 2640/2016
- Court:
- Tribunale di Trieste
- Parties:
- ALAKart Kft. v. Pizzul s.r.l.
Keywords
LACK OF CONFORMITY - GOODS NOT FIT FOR A PARTICULAR PURPOSE MADE KNOWN TO THE SELLER (ART. 35(2)(b) CISG) - EXCLUDED IF IT WAS UNREASONABLE FOR BUYER TO RELY ON SELLER'S SKILL AND JUDGMENT
LACK OF CONFORMITY OF GOODS - BURDEN OF PROOF - MATTER GOVERNED BUT NOT EXPRESSLY SETTLED BY CISG (ART. 7(2) CISG) - RECOURSE TO GENERAL PRINCIPLE UNDERLYING CISG THAT CLAIMANT MUST PROVE ITS CAUSE OF ACTION
Abstract
An Hungarian company bought 252 stone pillars type "Nero assoluto" from an Italian seller with the purpose of reselling them to a final customer. The stone pillars were to be used as road bollards on a square in front of the Budapest Parliament. After installation, the final customer informed the buyer that the stones' surfaces showed cracks. Following examination by an expert, the buyer contended that the quality of the stones was not in conformity with the contract and that the items were unfit for the purpose to which they were intended. The buyer then asked for replacement of the goods. On its part, the seller denied all responsibility, contending, inter alia, that, at the time the goods had been delivered, they were free of defects, and that the cracks and other deficiencies in the stones were due to further processing by the final customer, of which the seller was not aware. The buyer finally invoked termination of the contract, claimed damages as well as reimbursement of the purchase price.
After confirming to have jurisdiction over the case, the Court found that the contract was governed by CISG as both parties had their place of business in two Contracting States (Art. 1(1)(a) CISG).
The Court then addressed the issue of whether the goods should be considered as non-conforming under Art. 35 CISG. The Court decided that the delivered stones were fit for the purposes for which the goods of the same description are ordinarily used (Art. 35, lit. a) as well as fit for the particular purpose expressly made known to the seller at the time of the conclusion of the contract (Art. 35, lit. b). Moreover, no evidence was given by the buyer that the seller had been informed that the stones were to be locked by a fixed pole; nor was the seller aware of the kind of glue that was to be used to fix the materials. The Court also denied that the buyer could have successfully relied on the seller's skills and judgment. By relying on foreign case law rendered in application of the Convention, the Court indeed observed that such reliance is unreasonable where, as in the case at hand, the buyer was an experienced operator and provided the seller with specific information as to the quality of the goods. In conclusion, since the defects shown by the stones were imputable to the process of fixing them through the metallic pole, to which the seller remained completely extraneous, the liability of the seller for lack of conformity was to be denied.
In reaching such a conclusion, the Court also found that it was up to the buyer to demonstrate that the goods were not conforming. By referring to previous decisions rendered by Italian and foreign tribunals on the matter, the Court stated that burden of proof is a matter regulated by not expressly settled by the Convention, which must be settled in conformity with the general principles underlying CISG (Art. 7(2) CISG). In the Court's view, it is a general principle underlying the Convention that the claimant should bring evidence in favor of its cause of action.
Lastly, the Court referred to Art. 79(1) CISG to argue that damage to the goods was due to an impediment beyond the seller's control. To this end, the interpretation of Art. 79(1) CISG was proposed that such provision should be applied not only when force majeure or impediment has prevented a party from performing its obligations under the contract, but also where force majeure or impossibility was not the exclusive reason for non-performance.
Fulltext
(...)
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. ALAK ART IPAR ES KEPZOMUVESTI KORLATON FELELOSSEGU TARSASAG (di
seguito ALAK), società di diritto ungherese operante nel settore del commercio di pietre naturali, con
atto di citazione del 26 luglio 2016 ha convenuto in giudizio la società italiana Pizzul S.r.l. esponendo
di avere con essa concluso un contratto di compravendita internazionale, a mezzo di e-mail scambiate
tra il settembre e novembre 2013, per l'acquisto di 252 colonnine in pietra pregiata denominata "nero
assoluto", per il corrispettivo di euro 56.673,00 e con consegna pattuita ad 80 giorni "franco fabbrica".
Ha esposto che la merce sarebbe stata acquistata specificamente per l'utilizzo come dissuasore
stradale ornamentale da fornire ad un cliente ungherese, al quale dalla committente era stata rivenduta
in data 21.10.2013 e che ne avrebbe fatto uso per la installazione nella piazza antistante il Parlamento
di Budapest. Alak ha evidenziato che, proprio per lo specifico utilizzo cui erano destinati i dissuasori di
cui la Pizzul s.r.l. era stata messa a conoscenza, aveva concordato con la convenuta le lavorazioni da
effettuare sul materiale, inoltrando le specifiche relative alle dimensioni ed alla forma che i blocchi di
pietra dovevano assumere in conformità alle caratteristiche richieste del proprio cliente. L’attrice ha
aggiunto che, in considerazione delle condizioni climatiche del luogo di impiego dei dissuasori, aveva
richiesto via e-mail rassicurazioni circa la affidabilità e la qualità del materiale, ricevendole da un
dipendente di Pizzul, tale Giovanni Giorgi, a mezzo e-mail, il quale aveva comunicato che il materiale
fornito "in termini di prezzo e qualità è la migliore soluzione possibile per un nero assoluto".
L’attrice ha esposto che la merce le era stata consegnata con ritardo rispetto alla scadenza pattuita
e che comunque le colonnine risultavano integre al momento dell'arrivo della merce in Ungheria presso
il luogo di montaggio.
Alak ha poi evidenziato che, a distanza di circa due mesi dalla consegna del materiale ed
esattamente in data 11 giugno 2014, il cliente finale aveva lamentato difetti di qualità e funzionalità del
materiale installato, in particolare la formazione di crepe sulla superficie di tutti i dissuasori in pietra.
L’attrice, dunque, dopo avere appurato a mezzo di un esperto che il materiale fornito non poteva dirsi
conforme alla tipologia e qualità di quello concordato con la Pizzul s.r.l., né idoneo all'uso al quale era
destinato, sia per caratteristiche che per struttura, in quanto lo stesso non tollerava l’irradiazione solare
che ne determinava spaccature e sbriciolamento, aveva denunciato con email del 19 giugno 2014 i
difetti a Pizzul s.r.l., chiedendo la sostituzione della merce.
Alak ha esposto che la venditrice avrebbe in un primo momento riconosciuto, per il tramite di un
suo incaricato presente al sopralluogo nel luglio 2014, i vizi del materiale stesso, salvo poi mutare
radicalmente il proprio atteggiamento, negando ogni responsabilità.
Alak, dunque, esperito senza successo il tentativo di negoziazione assistita, ha agito in giudizio
chiedendo dichiararsi la risoluzione del contratto di compravendita internazionale per inadempimento
essenziale della convenuta per avere alienato beni non idonei all’uso, oltre alla restituzione del prezzo
di vendita ed al risarcimento del danno.
2. Si è costituita in giudizio la Pizzul s.r.l., accettando la giurisdizione italiana e l'applicazione
della Convenzione di Vienna e, per le parti non disciplinate, invocando le regole del codice civile
italiano. Ha innanzitutto negato che il materiale oggetto di vendita fosse una pietra pregiata, trattandosi
di semplice pietra basaltica, evidenziando che la denominazione "nero assoluto" non è relativa ad un
tipo di materiale ma solo ad una tonalità di colore. Ha dapprima evidenziato come non fosse stato
previsto uno specifico uso per il materiale e come la scelta dello stesso fosse avvenuta sulla base delle
caratteristiche specifiche contenute nella scheda inviata da Alak, costituite dalle misure, dal materiale e
dal colore che dovevano avere i blocchi di pietra: ha, dunque, sostenuto di avere consegnato materiale
assolutamente conforme alla richiesta, e cioè colonnine 50 × 50 × 60 di basalto nero assoluto con tre
lati fiammati e uno lucido, fondo segato e munite dei fori richiesti. Ha messo inoltre in rilievo come
l’acquirente Alak sia esperto operatore del settore, e non un consumatore, dovendosi peraltro escludere
che abbia acquistato e poi rivenduto beni dei quali non aveva specifica conoscenza circa le
caratteristiche tecniche. Ha confermato, peraltro, di essere stata a conoscenza che le colonnine
dovevano essere posizionate all'esterno su una piazza, quali dissuasori stradali, essendo il basalto una
tipica pietra de esterni, tale da resistere gli enti atmosferici. Ha ribadito di essersi limitata alla fornitura
del materiale con la richiesta esecuzione di un foro del diametro di 10 cm sul fondo delle colonnine. Ha
precisato che solo in un secondo momento, e per la parte di materiale ancora non lavorato, era stato
richiesto di aumentare a 11 cm il foro a causa delle diverse indicazioni fornite dal cliente finale.
Ha evidenziato, inoltre, che il materiale era stato consegnato ed accettato come integro anche
presso la destinazione finale, ma che sarebbe poi stato sottoposto a lavorazioni in Ungheria da parte di
un soggetto terzo. Ha indicato, come possibili cause di rottura dei dissuasori, l’utilizzo da parte di detto
soggetto terzo di un tubo d'acciaio nel foro praticato ovvero l'inserimento di colla o di altro materiale,
con conseguente aumento della pressione all'interno delle colonnine.
Ha negato di avere mai riconosciuto alcun vizio ed ha, quindi, concluso per il rigetto delle
domande.
3. All’udienza del 9 gennaio 2017 sono stati concessi i termini per il deposito di memorie
istruttorie. Nella sua prima memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c. Alak ha precisato di avere
commissionato alla Pizzul s.r.l. la fornitura di dissuasori identificati in base al colore “nero assoluto” e
di essersi rimessa alla perizia della convenuta nella scelta del materiale più idoneo per un utilizzo
all’esterno, scelta che è poi ricaduta sul basalto proposto dalla Pizzul s.r.l., di cui quest’ultima aveva
inviato un campione e offerto garanzie di idoneità. Ha contestato che la denuncia dei vizi da parte della
Alak fosse intervenuta tardivamente, ribadendo di essere stata informata dal suo acquirente del
verificarsi delle crepe in data 11 giugno 2014 e di averne data comunicazione alla Pizzul s.r.l. il
successivo 19 giugno.
Nella sua prima memoria Pizzul s.r.l. ha confermato di essere stata a conoscenza che il materiale
richiesto sarebbe stato impiegato come dissuasore stradale nella piazza di Budapest ed ha ribadito
l’idoneità del materiale fornito a tale scopo, essendo il basalto tipico materiale da esterni. Ha negato
che Alak avesse riposto alcun affidamento sulle competenze della Pizzul s.r.l. essendo anche la
committente esperta operatrice del settore. Ha ribadito che, una volta intervenuta la consegna del
materiale integro a Trieste, il rischio era passato a carico del compratore e che, in aggiunta, il materiale
stesso era stato sottoposto a lavorazioni da parte di un soggetto terzo, circostanza questa che avevano
interrotto il nesso con la sfera d’azione del venditore.
4. Nella seconda memoria ex art. 183 c.p.c. Alak ha chiesto assumersi prova testimoniale e
disporsi c.t.u. per accertare la natura del materiale fornito da Pizzul s.r.l. e la sua inidoneità all’utilizzo
quale dissuasore stradale, mentre la Pizzul s.r.l. ha chiesto esclusivamente l’assunzione di prova per
testi, ritenendo irrilevante la consulenza, ed ha prodotto una perizia di parte sulle possibili cause della
rottura dei dissuasori.
5. Nella terza memoria Alak ha dichiarato di non accettare il contraddittorio su una serie di
questioni introdotte dalla Pizzul s.r.l. solo con la seconda memoria e precisamente sui rilievi per cui: il
basalto sarebbe comunemente usato come materiale da esterno, secondo un uso commerciale
consolidato a livello mondiale; tale uso commerciale sarebbe entrato a far parte del contratto; sarebbe
stata la Alak a scegliere il basalto; il basalto sarebbe stato scelto anche da un socio della Pizzul s.r.l. per
la pavimentazione esterna della propria abitazione; la Pizzul s.r.l. non si sarebbe mai impegnata a
sostituire i beni. Alak ha ribadito che, all’atto dell’ordine del materiale, aveva richiesto alla Pizzul s.r.l.
una offerta per i dissuasori, limitandosi ad indicare il colore e confidando nella competenza della
convenuta nella scelta di una idonea tipologia di materiale, avendo poi la Pizzul s.r.l. proposto il basalto
e assicurato l’alta qualità del materiale.
Nella terza memoria della convenuta la stessa ha ribadito di essere stata a conoscenza del fatto
che il materiale avrebbe costituito dei dissuasori stradali ma ha negato che detti dissuasori dovessero
servire per un particolare uso. Ha ribadito che il materiale consegnato era esente da vizi sia al momento
della consegna in Italia, sia al suo arrivo a destinazione finale e che le lavorazioni ulteriori, effettuate
da un terzo su incarico dell’attrice, erano rimaste estranee alla sfera di controllo della Pizzul s.r.l.
6. Il giudice, dopo avere effettuato un tentativo di conciliazione, non riuscito, ha ammesso un
solo capitolo di prova testimoniale di parte attrice e ha disposto ammettersi c.t.u.
All’udienza del 26 giugno 2017, dopo avere nominato il consulente e indicato alle parti i contorni
del quesito che gli avrebbe posto, ha concesso termine per depositare memoria contenente bozza del
quesito.
7. All’udienza del 5 settembre 2017 è stato escusso il teste attoreo, il quale ha confermato che il
materiale era stato prelevato dalla piazza di Budapest e collocato all’aperto in un magazzino condotto
in locazione da Alak. Il giudice ha poi formulato il seguente quesito al c.t.u. autorizzandolo a compiere
accertamenti transfrontalieri a Budapest nel rispetto della sentenza resa dalla Corte di Giustizia nella
causa C-332/11 ProRail BV:
“letti gli atti ed esaminata la documentazione, compiuto accesso ai locali in cui si trovano i blocchi di materiale per i quali è causa, disposti accertamenti anche distruttivi sul materiale in questione ed ogni tipo di attività che non comporti però necessità di contatti o permessi da parte delle autorità Ungheresi:
a) descriva il c.t.u. le caratteristiche petrologiche e geochimiche del materiale fornito e le lavorazioni eseguite fino alla consegna del materiale stesso all’acquirente. Descriva inoltre lo stato attuale del materiale visionato, fornendo ogni elemento utile per comprendere se questo stato sia lo stato, o sostanzialmente lo stesso stato, in cui il materiale presumibilmente si trovava al momento della rimozione dalla sistemazione finale.
b) Tenendo presente che, alla luce della documentazione dimessa, le parti hanno considerato, hanno proposto ed hanno accettato (v. doc. 6 attore) tale materiale come basalto, dica se il materiale fornito possa essere effettivamente qualificato come basalto, nell’accezione intesa dalle parti e risultante dai documenti.
c) Solo in caso di risposta positiva al quesito sub a):
c 1) Dica se il materiale oggetto di accordo, indipendentemente dai trattamenti praticati, fosse adatto all’uso
generale al quale servirebbero abitualmente materiali dello stesso tipo.
c 2) Dica se il materiale effettivamente fornito, dopo i trattamenti praticati dalla convenuta, fosse adatto all’uso
generale al quale servirebbero abitualmente materiali dello stesso tipo.
d) Sempre e solo in caso di risposta positiva al quesito sub a), dica se il materiale oggetto di accordo,
indipendentemente dai trattamenti praticati, ed il materiale effettivamente fornito, fossero adatti all’uso di dissuasore esterno imprigionato da palo infisso, secondo le modalità di trattamento richieste ed effettuate, indicando se sussistono elementi tecnici (anche nella corrispondenza intercorsa) dai quali desumere che il compratore non si fosse rimesso alla competenza o alla valutazione del venditore o che non era ragionevole farlo da parte sua
e) Dica se sussistano elementi tecnici (anche nella corrispondenza intercorsa) dai quali desumere che il compratore conoscesse o non potesse ignorare vizi di conformità, come sub c) e d), al momento della conclusione del contratto.
f) Dica se le lavorazioni di posa (separatamente ed insieme a quelle di rimozione) possano aver costituito, per le specifiche modalità di attuazione, la causa diretta o la concausa delle conseguenze riscontrate e se, secondo l’ordinaria conoscenza dei commercianti nel settore in questione, fosse ragionevolmente attendersi che tali lavorazioni potessero determinare tali conseguenze.
g) Se lo stato attuale del materiale sia essenzialmente identico a quello nel quale il compratore lo aveva ripreso in consegna dopo la rimozione”.
8. Depositata la consulenza tecnica, all’udienza del 12 marzo 2018 l’attrice, tramite produzione di
dichiarazione con traduzione asseverata, ha contestato di avere dichiarato al consulente che lo stato del
materiale da lui esaminato fosse lo stesso di quello esistente al momento del deposito presso il
magazzino ed ha chiesto convocarsi il c.t.u. a chiarimenti.
A scioglimento della riserva assunta in detta udienza, il giudice ha ritenuto la causa matura per la
decisione e ha fissato udienza di precisazione delle conclusioni. Precisate le conclusioni come sopra
riportato, il giudice ha concesso termini per gli scritti conclusivi e si è riservato all’esito la decisione.
9. Va preliminarmente osservato che non è contestata tra le parti la giurisdizione del giudice
italiano.
È poi pacifico che il contratto oggetto del giudizio sia una vendita avente carattere di
internazionalità, avendo le imprese contraenti le loro sedi in due diversi Stati membri dell’Unione
Europea (rispettivamente in Italia la venditrice e in Ungheria l’acquirente). Al fine di individuare il foro
giurisdizionalmente competente occorre far riferimento al Reg. Ue 1215/2012 il quale prevede, come
criterio generale per la determinazione della giurisdizione, il domicilio del convenuto o la sede della
persona giuridica. Inoltre, ai sensi dell’art. 7 co 1 lettera b) dello stesso regolamento, in materia di
compravendita di beni il foro competente è quello di consegna dei beni oggetto del contratto, salva
facoltà di diversa scelta delle parti. Dunque, stante che la sede legale della convenuta è sita in Trieste e
che qui è avvenuta la consegna della merce, in difetto di diversi accordi tra le parti la giurisdizione
spetta a questo Tribunale.
10. Ritenuta la competenza a giudicare di questo Tribunale, si osserva poi che il carattere del
rapporto impone alcune ulteriori considerazioni in ordine alla legge sostanziale applicabile.
E’ indubbio che il rapporto oggetto di lite abbia carattere internazionale, in quanto i soggetti dello
stesso sono una società di diritto ungherese e una società di diritto italiano, ed in quanto è stato
concluso tra gli stessi - in via documentale elettronica - un contratto avente ad oggetto la fornitura di
beni mobili dall’uno all’altro. In più, i Paesi nei quali le parti hanno la loro sede d’affari erano entrambi
Stati contraenti della Convenzione al momento della conclusione del contratto. Invero in fattispecie
analoghe la prevalente giurisprudenza nazionale (v. Trib. Pavia, 29 dicembre 1999, in Corr. Giur. 2000,
932 ss.; Trib. Vigevano, 12 luglio 2000, in Giur. it. 2001, 280 ss.; Trib. Padova, 25 febbraio 2004, in
Giur. it. 2004, 1405 ss.; Trib. Padova, 31 marzo 2004, in Giur. merito 2004, 1065 ss.; Trib. Padova, 11
gennaio 2005, in Riv. dir. int. priv. e proc. 2005, 791 ss.) si è attestata nel ritenere applicabili le norme
della Convenzione delle Nazioni Unite di Vienna sui contratti di vendita internazionale di beni mobili
del 1980, ratificata con legge 11 dicembre 1985, n. 765, ed entrata in vigore il 1° gennaio 1988.
La Convenzione di Vienna, come noto, detta una disciplina sostanziale ed uniforme per i contratti
di compravendita internazionale e si sostituisce alle legislazioni dei singoli Stati, prevalendo sulla
Convenzione di Roma (Cass. Sezioni Unite sentenza n. 22239 del 2009). Si aggiunga, infine, che le
parti non hanno fatto ricorso alla possibilità di escludere l’applicazione della Convenzione, ancorché
detta facoltà fosse loro spettante ed esercitabile anche in forma tacita, come spesso affermato dalla
citata giurisprudenza italiana e da quella straniera.
In considerazione di tutto ciò, si deve concludere per l’applicabilità alla fattispecie della
Convenzione delle Nazioni Unite. Questo comporta che solo nel caso in cui i parametri normativi
dettati dalla Convenzione di Vienna non fossero sufficienti, potrebbe prendersi in esame la pur
controversa questione della residuale applicazione del diritto italiano.
11. Ciò posto, e passando al merito della controversia, occorre anzitutto dar conto delle vicende
in fatto.
Onde determinare l’oggetto delle obbligazioni in contratto, va posto in evidenza che in un primo
momento, esattamente nei primi giorni del settembre 2013, la Alak si era rivolta alla Pizzul s.r.l. per
avere un preventivo per l’acquisto di lastre di misure 100 x 50 x 15 cm per la pavimentazione di una
piazza di Budapest indicando, come tonalità di colore, il nero assoluto. La Pizzul s.r.l. aveva proposto
in quella occasione come materiale il basalto, inviando alla Alak anche un campione. È solo qualche
giorno dopo, in particolare l’8 settembre 2013, che la Alak, avendo ricevuto dal suo cliente finale
l’incarico di acquistare dei dissuasori e non più delle lastre per la pavimentazione, ha chiesto alla Pizzul
s.r.l. un preventivo per la fornitura di 252 dissuasori/colonnine di misure 60 x 60 x 50 cm di nero
assoluto, inviando (in allegato alla email del 8 settembre 2013) una scheda contenente le specifiche
tecniche di dette colonnine, ossia le esatte misure in cui le colonnine dovevano essere tagliate e il
diametro del foro che doveva esservi praticato al centro, nonché la dicitura “Anyag: Granit”. Viene
quindi in rilievo uno scambio di email dell’11 settembre 2013 avente come oggetto “Richiesta
informazioni PT1 colonnina nero assoluto”, ove la Pizzul s.r.l. alle ore 13.08 scriveva: “C’è un
problema: Imre mi ha detto che lei non vuole usare il basalto e io devo capire il perché considerando
che in termini di prezzo e qualità è la migliore soluzione possibile per un nero assoluto, abbiamo
portato a termine molti buoni progetti con questo materiale e i clienti sono sempre stati soddisfatti”;
Alak replicava alle ore 15.15 scrivendo in lingua inglese “Non ho parlato del tipo di materiale perché
so che tutto il nero assoluto è in basalto e non granito, di solito. In questo modo, ho avuto la possibilità
di capire come mai Imre abbia potuto intendere che non accettavo il basalto in questo progetto”.
Dallo scambio di comunicazioni intercorse emerge evidente che, inizialmente ma per mero
disguido la richiesta della Alak era stata nel senso di richiedere un preventivo per dei dissuasori in
granito “nero assoluto”: tuttavia poi tra le parti veniva confermato l’accordo sulla tipologia del
materiale da fornire, ossia sul “nero assoluto” basalto, materiale in ordine al quale la Pizzul s.r.l. ha
anche assicurato in merito alla buona riuscita di precedenti forniture. In questo senso va intesa la
dichiarazione della Alak, secondo cui il materiale scelto non poteva che essere basalto, e non certo
granito.
12. È rilevante ai fini della decisione verificare se la merce fornita dal venditore fosse adatta
all’uso al quale abitualmente servono merci dello stesso tipo [(art. 35 lett. a)].
La consulenza tecnica effettuata, e solo tardivamente ed impropriamente contestata
dall’acquirente che non ha mai ha partecipato alle operazioni con il proprio consulente, ha
espressamente accertato che “La roccia basaltica oggetto di accordo è adatta per costruzioni in
ambienti esterni”.
Inoltre il materiale fornito era adatto anche all’uso speciale portato esplicitamente o tacitamente a
conoscenza del venditore al momento della conclusione del contratto [(art. 35 lett. b)], avendo il
consulente risposto alla specifica domanda come segue: “Il basalto fornito, dopo i trattamenti di
segagione, carotatura e trasporto poteva essere adatto all’uso per esterno”.
La circostanza che il venditore fosse a conoscenza della tipologia di palo nel quale il materiale
doveva essere impilato, del suo diametro e delle altre caratteristiche, non è mai stata provata, come
pure era onere del compratore (in questi termini, Schweizerisches Bundesgericht, 13.01.2004,
http://www.unilex.info/cisg/case/978).
Non vi sono poi circostanze dalle quali desumere che il compratore si fosse rimesso alla
competenza o alla valutazione del venditore, come risulta dalle mail sopra citate, secondo cui
l’acquirente voleva esclusivamente basalto, e non granito, dopo le indicazioni ricevute. Si richiama sul
punto lo scambio epistolare sub 11. Può essere richiamata la giurisprudenza secondo cui si può
escludere che il compratore abbia ragionevolmente fatto affidamento sulle capacità e sull’esperienza
della controparte qualora sia lui stesso esperto del settore di riferimento (cfr. High Court of New
Zealand, 30.07.2010, http://www.unilex.info/cisg/case/1595; confermato da Court of Appeal of New
Zealand, 22.07.2011, http://www.unilex.info/cisg/case/1617; Landgericht Coburg, 12.12.2006,
consultabile in lingua inglese http://cisgw3.law.pace.edu/cases/061212g1.html).
Deve poi rimarcarsi, ai fini dell’applicazione uniforme della Convenzione, che un affidamento va
escluso qualora l’acquirente sia in possesso di abilità e conoscenze delle merci almeno pari a quella del
venditore (cfr. Landgericht Coburg, 12.12.2006, consultabile in inglese all’indirizzo
http://cisgw3.law.pace.edu/cases/061212g1.html), o qualora – come accaduto nella specie - quando
l’acquirente abbia partecipato alla scelta delle merci o fornito indicazioni specifiche.
Si può quindi concludere che il materiale fornito possedesse “le qualità di una merce che il
venditore ha presentato all’acquirente” secondo quanto richiesto dall’art. 35 lett. c).
Tuttavia il materiale fornito presentava una particolarità, definita come segue:
“Il basalto in questione, per la presenza nella fase vetrosa di un reticolo di fratture di tensione da
raffreddamento, come evidenziato dall’interpretazione petrografica eseguita dal prof. Angelo De Min
del dipartimento di Matematica e Geoscienze, dell’Università di Trieste, non era adatto ad essere
imprigionato da un palo fisso, in quanto proprio il turbamento tensionale all’interno del blocco dopo
infissione ha innestato l’effetto domino di concatenazione delle microfratture di tensione….”.
Tradotto in termini più semplici: il diverso grado di dilatazione dei due materiali ha fatto sì che,
unitamente alla presenza del collante posto in opera dall’acquirente, la pietra si lesionasse dal suo
interno a causa dei fenomeni di escursione termica e di eccessiva aderenza tra pietra e metallo o
componente chimico usato per l’incollaggio. La pressione del metallo in espansione, a causa del caldo
e della mancanza di sufficiente spazio tra le due superfici interne (metallo e pietra), ha scatenato quel
processo di frammentazione che solo in parte è stato agevolato dalla “presenza nella fase vetrosa di un
reticolo di fratture di tensione da raffreddamento”. Tale presenza, peraltro, è stata rilevata solo a
seguito di approfondite verifiche tecniche.
Al riguardo si osserva che l’acquirente era un operatore commerciale al pari del venditore, e non
aveva reso noto nei suoi termini esatti come sarebbero stati infissi i blocchi, e cioè in quale materiale,
di che diametro, ed in che modo. L’acquirente aveva solo richiesto alla venditrice di effettuare sulle
pietre dei fori di diametro 10 cm, salvo poi chiedere che il diametro venisse ampliato ad 11 cm, come è
stato fatto solo per l’ultima parte di blocchi ancora da forare.
Solo se tutti gli elementi sopra citati fossero stati resi noti si sarebbe potuto ragionare in termini
concreti sull’applicazione dell’art. 35 lett. b).
Non può quindi ritenersi che Pizzul S.r.l. sia stata inadempiente.
13. Per quanto concerne l'onere della prova dell'esistenza di vizi lamentati dall'acquirente nella
compravendita internazionale di beni mobili, si richiama la nota sentenza del Tribunale di Vigevano del
12.7.2000 (edita su Giur. It., 2001, 2) intervenuta su una vicenda in parte analoga, e secondo cui la
Convenzione, pur non elencando la questione della ripartizione dell'onere della prova tra quelle
espressamente affrontate, tuttavia la disciplina ugualmente, di modo che la tematica non rappresenta
una “lacuna esterna”. Del resto l'art. 79, comma 1, della Convenzione, in materia di inadempimento,
menziona espressamente l'onere della prova, indicando che «una parte non è responsabile per
inadempimento di una sua obbligazione se prova che l'inadempimento era dovuto ad un impedimento
derivante da circostanze estranee alla sua sfera di controllo, e che non era ragionevolmente tenuto a
prevedere al momento della conclusione del contratto o ad evitare o a superarne le conseguenze».
La questione della ripartizione dell'onere della prova deve quindi essere risolta in conformità con
i principi generali posti dalla Convenzione, come dispone il suo art. 7, comma 2. È opinione
maggioritaria che la regola applicabile sia quella per cui ei incumbit probatio qui dicit, non qui negat:
la parte che intende fare valere un diritto è tenuta a dimostrare i fatti che ne costituiscono il
fondamento. Come chiarito nella citata decisione, questa regola “trova conferma nel disposto del sopra
indicato art. 79, il quale, ponendo a carico della parte inadempiente l'onere della prova liberatoria che
l'inadempimento è da imputarsi ad una causa estranea alla sua sfera di controllo, implicitamente
riconosce che, viceversa, la prova dell'inadempimento, cioè della difettosa od irregolare esecuzione
della prestazione, è a carico della controparte, cioè del contraente che l'ha ricevuta”. Corollario ne è
poi l’affermazione secondo cui le eccezioni vanno provate dalla parte che le solleva.
13.1. Il modo in cui tale prova può essere raggiunta, così come - in termini generali - il modo in
cui il giudice raggiunge il proprio convincimento, rimangono invece interamente regolati dal diritto
interno applicabile.
Così, trattandosi di questione eminentemente tecnica, la prova della idoneità del materiale non
poteva che essere offerta da una consulenza tecnica.
13.2. Orbene, neanche attraverso le risultanze della consulenza è stata offerta prova da parte del
compratore che il materiale fosse inidoneo all’uso convenuto, quale descritto e reso noto o comunque
conoscibile da parte del fornitore.
Per contro, e sempre a mezzo della consulenza tecnica, vi è prova che proprio le specifiche
modalità con cui il materiale è stato trattato dal compratore, e cioè l’infissione dei blocchi di basalto in
pali di un materiale (metallo) e di un diametro liberamente scelti dal compratore e non preventivamente
comunicati al venditore, nonché l’uso di collanti o cementi, abbiano causato con la loro dilatazione
termica il danneggiamento del basalto.
14. Il danno è stato quindi “dovuto ad un impedimento derivante da circostanze estranee” alla
sfera di controllo del venditore, venditore il quale non era ragionevolmente tenuto a prevedere al
momento della conclusione del contratto tale impedimento, né ad evitare o a superarne le conseguenze.
Infatti per un verso il compratore aveva una esperienza professionale astrattamente pari a quella del
compratore il quale ha poi rivenduto la merce stessa a terzi e l’ha installata. Peraltro il venditore non ha
comunicato tutte le modalità con le quali avrebbe posto in opera i blocchi di basalto.
Ai sensi dell’art. 79 della Convenzione («una parte non è responsabile per inadempimento di una
sua obbligazione se prova che l'inadempimento era dovuto ad un impedimento derivante da
circostanze estranee alla sua sfera di controllo, e che non era ragionevolmente tenuto a prevedere al
momento della conclusione del contratto o ad evitare o a superarne le conseguenze») i danni vengono
risarciti secondo i principi della full compensation e della recoverability of foreseable losses. La regola
del “but for” test adottata dalla CISG si risolve dunque – con una semplificazione forse eccessiva - in
quella che più domesticamente è conosciuta come la regola causale della condicio sine qua non1
.
Del resto sembra prevalere in dottrina un’interpretazione estensiva secondo cui l’art. 79 CISG
sarebbe applicabile non solo quando la causa di forza maggiore o impossibilità sia la ragione
dell’inadempimento, ma anche qualora non ne sia la ragione esclusiva essa abbia reso l’inadempimento
impossibile, ancorché si tratti di causa successiva all’inadempimento imputabile del debitore.
Ovviamente ciò vale sempre che, come accaduto nella specie, l’impossibilità sopravvenuta non
sia dovuta proprio all’inadempimento del debitore.
In ossequio a questa regola causale, così come interpretata conformemente dalla giurisprudenza
sopra indicata, nel comportamento del compratore (ossia: nelle specifiche dimensioni e qualità dei pali
in cui era stato infisso il materiale da parte del compratore, e nelle metodologie di posa ed incollatura,
sconosciute all’acquirente) può essere una c.d. "causa prossima di rilievo", cioè una causa di per sé
sufficiente a produrre l'evento, la quale (lo si scrive a fini meramente comparatistici, in quanto il
giudizio di causalità viene amministrato esclusivamente secondo le regole della CISG) avrebbe
interrotto anche secondo il diritto italiano il nesso di causalità tra l’inadempimento ed il danno, ai sensi
dell’art. 41, secondo comma, cod. pen. e dell’art. 1221 cod. civ..
15. In applicazione delle regole sopra viste e delle risultanze della consulenza deve ritenersi che
non vi sia stato inadempimento del venditore.
In ogni caso, il pur modesto difetto di conformità della merce venduta, qualora comunque si
volesse discutere di un inadempimento del venditore, non ha provocato il danno finale.
Ad ulteriore fondamento di questo convincimento sta il fatto che il basalto, rimasto stoccato
all’aperto per alcuni anni, non ha riportato ulteriori danneggiamenti: alla presenza del consulente
tecnico (pubblico ufficiale), infatti, il legale rappresentante di Alak ha espressamente dichiarato ciò, e
la sua affermazione confessoria può essere invalidata solo con una querela di falso (art. 221 e ss.
c.p.c.), e con nessun altro strumento di prova, neanche quello tardivamente richiesto dalla difesa
dell’attore.
Poiché quindi il lieve difetto di conformità non è causa dei danni verificatisi, i quali sono stati
provocati da fatto non conosciuto né prevedibile dal venditore (le specifiche dimensioni e qualità dei
pali in cui era stato infisso il materiale da parte del compratore, e le metodologie di posa ed incollatura,
sconosciute all’acquirente), la domanda di risarcimento deve essere disattesa.
16. In conclusione la domanda deve essere rigettata.
16.1. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate tenuto conto del valore della
domanda come riconosciuto, e dell’attività disimpegnata nella fase di studio, introduttiva, istruttoria e
decisoria, nonché del fatto che l’opera prestata è di ordinario pregio, e che i risultati ed i vantaggi
conseguiti sono positivi.
Le spese di c.t.u. sono poste definitivamente a carico del soccombente, nel mentre devono essere
rimborsate quelle sostenute per il c.t.p. e fatturate, come da nota e quelle per negoziazione assistita.
Sentenza esecutiva.
P.Q.M.
ogni altra istanza, deduzione ed eccezione disattesa, definitivamente pronunziando, il Tribunale
di Trieste così provvede:
rigetta le domande proposte da ALAK ART IPAR ES KEPZOMUVESZETI KORLATON
FELELOSSEGU TARSASAG, in persona del legale rappresentante, condannando l’attore al
pagamento delle spese di lite, liquidate in euro 13.430,00 per competenze, oltre a spese generali, I.V.A.
e CNAP come per legge, e rimborso spese di c.t.p. e di negoziazione assistita, come da nota.
Pone definitivamente a carico del soccombente le spese di c.t.u. liquidate come in atti.
Sentenza esecutiva.
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