Data
- Date:
- 16-05-2007
- Country:
- Italy
- Number:
- 11226
- Court:
- Corte di Cassazione, Sez. Trib.
- Parties:
- --
Keywords
SALES CONTRACT GOVERNED BY CISG – WRITTEN FORM NOT NECESSARY NOTWITHSTANDING DIFFERENT PROVISIONS OF DOMESTIC LAW (ART. 11 CISG)
Abstract
The facts are the same as those of the decision Corte di Cassazione, 13 October 2006, no. 22023, reported in UNILEX, but the present case concerns a different tax period.
Fulltext
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con processo verbale di constatazione il nucleo PT della Guardia di Finanza concludeva una verifica fiscale effettuata presso la spa F.I. per gli anni 1987-1992 dalla quale scaturiva, da parte del II Ufficio HDD di Roma, avviso di accertamento con recuperi a titolo di IRPEG ed ILOR per l'anno di imposta 1991 tra i quali la ripresa a tassazione di presunte sovrafatturazioni di autovetture acquistate da società estere del gruppo, di spese per prestazioni di servizi infragruppo, di spese di rappresentanza e promozionali non inerenti. L'Ufficio ipotizzava un costo maggiore di quello normale da stabilire secondo le previsioni dell'art. 76 del TUIR (DPR 917/86) in quanto la F.I. si era accollata senza compenso l'onere - gravante per legge sulla società costruttrice - delle riparazioni e manutenzioni delle vetture nuove, venendo in tal modo a realizzare una riduzione dell'imponibile in Italia a vantaggio di maggiori profitti di consociate operanti in paesi a più bassa fiscalità, né del resto risultando provato per atto scritto che di tali maggiori oneri la società aveva tenuto conto nella determinazione del prezzo di acquisto.
Rilevava poi che la F.I. aderiva ad un accordo internazionale con la casa madre americana secondo il quale alcuni servizi di utilità generale per il gruppo venivano affidati alla spa F.E. che le riaddebitava alle consorelle europee sulla base di un progetto di sviluppo annuale con suddivisione dei costi tra le varie consociate.
Era peraltro emerso che talune prestazioni (riguardanti pubblicità, autosaloni, programmi sportivi, locandine etc.) oltre ad essere fatturate dalla F.E. erano pure fatturate dalle stesse consociate, tra cui la F.I., che veniva così a creare una illegittima duplicazione dei costi. Aggiungeva infine che molte spese contabilizzate dalla società come spese di pubblicità e dunque interamente dedotte nell'esercizio in effetti erano da considerare di rappresentanza.
Il ricorso della società contribuente (investente anche altre riprese) veniva parzialmente accolto in primo grado.
La Commissione tributaria regionale - adita con appello di entrambe le parti -argomentava che esisteva un valido accordo di gruppo (secondo direttive impartite dalla F. statunitense nel 1967 alle società consorelle acquirenti che si obbligavano a sostenere le spese di riparazioni e manutenzione delle auto nuove acquistate nei confronti di clienti e concessionari), il quale rappresentava un accollo della garanzia per vizi della cosa in capo all'acquirente intermediario nei confronti degli acquirenti finali del bene: accordo che, in base alla Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale, non richiedeva alcuna approvazione scritta delle clausole limitative di responsabilità ex art. 1341 cc e forniva indizi contrari all'assunto dell'Ufficio.
Richiamava sul punto precedenti conformi di altre Commissioni tributarie e la sentenza penale di assoluzione dei rappresentanti della società. Quanto alle altre riprese rilevava - sui costi infragruppo - che la asserita duplicazione non era dimostrata posto che l'esistenza di un accordo internazionale per la fornitura di servizi generali non escludeva che la F. si fosse servita di altre ditte per alcuni tipi di servizi mentre per le spese di pubblicità - quando anche fossero da considerare di rappresentanza - erano interamente deducibili visto l'incerto confine tra i due concetti di spesa. Ricorre per la cassazione della sentenza l'Amministrazione finanziaria e - per quanto occorra l'Agenzia delle entrate - lamentando - con il 1° motivo - violazione degli artt. 12 cpc, 76 II e V comma del TUIR, artt. 1341 e 1490 cc, Convenzione di Vienna dell'11.4.1980, nonché insufficiente e contradditoria motivazione su un punto decisivo della controversia.
Adduce che - fatta salva l'autonomia contrattuale trattandosi di transazioni internazionali - i rapporti commerciali dovevano tener conto ai fini fiscali delle norme nazionali sulle valutazioni e - nel caso di specie - delle disposizioni dell'art. 76 TUIR sul valore normale dei beni ceduti, che tale non poteva essere se la F.I. assumeva interamente a proprio carico l'onere economico di sostituzioni e riparazioni di veicoli viziati da difetti di fabbrica rimborsando alle concessionarie ed alle officine autorizzate i materiali e la mano d'opera impiegata in numerosissimi interventi.
Desume pertanto che, se detti costi non erano ripetuti dal fornitore, la rivenditrice veniva a sopportare spese aggiuntive non essendovi prova della applicazione di una riserva di garanzia nella determinazione del c.d. transfer pricing per cui la mancanza di una garanzia legale per vizi veniva a riverberarsi sul valore normale di transazione con effetti quanto meno elusivi. Infatti, non essendo richiesta la riduzione del prezzo in funzione di tali oneri (o comunque non risultando provato che esso fosse stato realmente decurtato della riserva-garanzia secondo le indicazioni contenute nelle direttive della casa madre) i costi di acquisto rimanevano contabilizzati all'iniziale supervalore sproporzionato rispetto a quello effettivo della merce con riduzione degli utili della società italiana in favore di quelle estere.
Contrariamente a quanto ritenuto dalla Commissione regionale - dunque - la ripresa a tassazione si basava su presupposti contabili certi integrati con l'analisi economica dei rapporti infragruppo che giustificavano l'applicazione dell'art. 79 DPR 917/86.
Incongruo poi si appalesava il riferimento ai precedenti sulla stessa questione richiamati dalla Commissione regionale perché la sentenza di proscioglimento non poteva far stato nel processo penale ed il rinvio per relationem alla motivazione contenuta nelle sentenze di altre Commissioni avrebbe dovuto farsi carico anche di una autonoma confutazione dei motivi di impugnazione. Denunzia - con il 2° motivo -violazione degli artt. 113 e 115 cpc, 75 D.lgs. 546/92, oltre a vizi di motivazione atteso che la dimostrazione afferente la non inerenza delle spese per prestazioni di servizi infragruppo non transitava necessariamente dalla prova documentale ma ben poteva essere il risultato di un ragionamento che consentiva di risalire da fatti incontrovertibili alla certezza di evento qualificato come illecito tributario gli atti impositivi avendo analiticamente individuato le fatture oggetto della consumata duplicazione dei costi.
Si duole - con il 3° motivo - della violazione degli artt. 112, 113, 115 cpc, 74 D.lgs. 546/92, nonché di vizi di motivazione posto che dalla sentenza non era dato rilevare la ragione della qualificazione delle spese di rappresentanza come spese di pubblicità quando diversa ne era la tipologia, le une avendo per obbiettivo la diffusione dell'immagine aziendale sul mercato, le altre di incrementare le vendite ed i correlati ricavi, e tra le prime (comprensive di spese di sponsorizzazione di manifestazioni sportive) rientravano appunto quelle sostenute dalla F. come tali indeducibili.
Deduce infine – con il 4° motivo - violazione degli artt. 112 cpc, 15 Dlgs 546/92, oltre a vizi di motivazione, avendo la pronunzia censurata dato atto che l'Ufficio aveva rinunziato agli altri punti di rettifica quando sulle irrogate sanzioni - annullate in primo grado - non era stata fatta alcuna abdicazione costituendo oggetto di gravame per effetto del loro richiamo nel contesto dell'appello. Resiste con controricorso la F. depositando memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I. Il 1° motivo ripropone la tesi della sovrafatturazione delle autovetture oggetto di operazioni infragruppo tra la F.I. spa e le consorelle Europesources F.), la prima operante come distributrice-venditrice nel nostro paese dei veicoli acquistati dalle seconde che ne erano fabbricanti nei vari stabilimenti produttivi localizzati soprattutto in Germania, Spagna e Gran Bretagna. Poiché delle disposizioni dell'art. 76 V comma del DPR 917/86 i componenti di reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che - direttamente o indirettamente - controllano l'impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa sono valutati in base al "valore normale dei beni ceduti", dei servizi prestati e dei beni e servizi ricevuti determinato - ai sensi del rinvio operato dal 11° comma - secondo i criteri dettati dall'art. 9 che individua tale valore nel "prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni o servizi della stessa specie o similari in condizioni di libera concorrenza ed al medesimo stadio di commercializzazione" e la F.I. assumeva a proprio carico l'onere economico e finanziario di sostituzioni e riparazioni dei veicoli viziati da difetti di fabbrica rimborsando a concessionarie e officine autorizzate il costo dei loro interventi in spregio all'art. 1490 cc (spettando per legge la garanzia dei vizi della cosa venduta al fabbricante-venditore), difettando - tra l'altro - la prova di una riserva-garanzia (convenzionale) operante sul prezzo di trasferimento per ridurlo in proporzione al fine di riportarlo al suo valore normale, da tutto ciò - secondo la tesi dell'Amministrazione - discendeva una supervalutazione dei beni rettificabile secondo i citati parametri normativi con ripresa a tassazione dell'illegittimo gonfiamento dei costi che veniva a provocare.
Tale costruzione, che trova fonte nel verbale di pvc riguardante più periodi di imposta, è stata già da questa Corte disattesa in relazione all'annualità 1990 (Cass. 22023/06) con motivazione dalla quale non ve ragione di discostarsi per l'annualità 1991 oggetto del presente giudizio.
Non sembra peraltro potersi applicare il principio della espansione automatica del giudicato (Cass. SS.UU. 13916/06), vertendosi in tema di accertamenti fondati su ricostruzioni contabili diversificate ancorché perseguenti un fine unitario e dunque difettando quella identità di elementi oggettivi immutabili da periodo a periodo destinati ad assumere valore di vera e propria regola costante. Come messo in luce proprio dalla sentenza richiamata nella memoria difensiva di parte controricorrente il giudicato relativo ad un singolo periodo d'imposta non é idoneo a "fare stato" per i successivi periodi in via generalizzata ed aspecifica.
Idoneità siffatta va riconosciuta solo a quelle situazioni relative a "qualificazioni giuridiche" o ad altri eventuali "elementi preliminari" rispetto ai quali possa dirsi sussistere un interesse protetto avente il carattere della durevolezza nel tempo ma non si estende a tutti i punti che costituiscono antecedente logico della decisione ed in particolare alla valutazione delle prove e la ricostruzione dei fatti (vedi anche Cass. 24067/06)
La controversia in oggetto – dunque - non può essere coperta dal richiamato giudicato e va comunque risolta alla luce dei principi già indicati nella citata sentenza di questa Corte.
L'Amministrazione - anche per l'annualità di cui è contendere - fa leva sulla mancanza - nei rapporti tra F.I. e le fornitrici estere - di qualsiasi patto contrattuale limitativo della responsabilità del venditore per vizi originari dei prodotti oggetto di compravendita facendone derivare la automatica operatività della garanzia legale ex art. 1490 cc la cui sistematica inapplicabilità per le ragioni anzidette veniva ad alterare il valore normale dei beni ceduti.
Ora nella fattispecie non trova applicazione la legge italiana ma la Convenzione di Vienna dell'11.4.1980, ratificata e resa esecutiva con L. 11.12.1985 n. 765 ed entrata in vigore a partire dall'1.1.1988.
L'art. 1, comma 1, della Convenzione ne stabilisce i criteri di applicazione che sono due.
La disciplina uniforme si applica quando la vendita è intercorsa tra parti che hanno la loro sede (place of business) in due Stati contraenti diversi oppure quando le norme di diritto internazionale privato (cioé del foro) portano alla applicazione della legge di uno Stato contraente.
Dal tenore letterale della disposizione citata si evince dunque che la Convenzione si applica alle vendite internazionali ed al fine di determinare il carattere internazionale della vendita, occorre fare riferimento alla sede di affari delle parti: se questa si trova in due Stati diversi, la vendita ha il carattere della internazionalità e, pertanto, è soggetta alle disposizioni della Convenzione. Viceversa, qualora le parti abbiano la propria sede di affari in uno stesso Stato, la vendita è considerata interna e, di conseguenza, si applicano le disposizioni della legge nazionale, per quanto riguarda l'Italia il codice civile.
E' pacifico in causa che nel 1967 la casa madre con sede negli Stati Uniti emanava una direttiva, in base alla quale tutte le società del gruppo F., che vendevano al pubblico i veicoli, dovevano sostenere le spese di riparazione in garanzia per i difetti di fabbricazione imputabili alle società consociate produttrici di tali veicoli.
La Direttiva era ed è tuttora funzionale nel regolare in modo uniforme i rapporti di scambio tra tutte le società del gruppo F., che hanno la propria sede di affari in Stati diversi, e dunque da considerare inserita nei rapporti contrattuali concretamente istituiti.
Ciò significa che la vendita al pubblico dei veicoli effettuata dalle varie società del gruppo, è connotata dal carattere della internazionalità e quindi ciascuna società del gruppo F. non può applicare la legislazione interna del proprio Stato di appartenenza, ma deve applicare le disposizioni della Convenzione L'art. 11 della ridetta Convenzione sancisce il principio della libertà di forma statuendo che "un contratto di vendita non necessita di essere concluso o provato per iscritto e non è sottoposto ad alcun altro requisito di forma. Esso può venir provato con ogni mezzo, anche per testimoni".
La parti possono così scegliere liberamente la forma negoziale per regolare i propri rapporti escludendo, se del caso, la garanzia per vizi della cosa senza l'osservanza di alcuna formalità.
L'accordo di accollo di garanzia non necessitava, quindi, di formalizzazione alcuna né esigeva per essere opposto pattuizione specifica in vista delle limitazioni di responsabilità che comportava.
Pertanto a fronte di un accordo internazionale di gruppo che forniva indizi probatori univoci nel senso sovra descritto, era l'Amministrazione onerata di dimostrare in concreto che la regola di assorbimento della garanzia costituiva, in realtà, metodo elusivo per scaricare i costi (inducendo gli utili) nel paese di più bassa fiscalità.
Lo scopo della disciplina dettata dall'art. 76 V co. del TUIR (che regola il c.d. transfer pricing) è di evitare che all'interno del gruppo vengano posti in essere trasferimenti di utili tramite applicazione di prezzi inferiori al valore normale dei beni ceduti onde sottrarli alla tassazione in Italia a favore di tassazioni estere inferiori.
Si tratta di clausola antielusiva che trova, non solo radici nei principi comunitari in tema di abuso del diritto (cioè strumentalmente piegato in funzione anomala e/o eccedente la sua normale portata entro i limiti consentiti dall'ordinamento) particolarmente presenti in materia doganale per contrastare operazioni compiute al solo scopo di trarre benefici dalle agevolazioni daziarie (così Corte di Giustizia, sentenza 14 dicembre 2000 in causa C-110/1999, Emsland-Starke GmbH), ma anche immanenti in diversi settori del diritto tributario nazionale, essendo consentito all'Amministrazione finanziaria di disconoscere - ad esempio - i vantaggi fiscali conseguiti da operazioni societarie (art. 10 L. 408/90) poste in essere senza valide ragioni economiche ed allo scopo esclusivo di ottenere fraudolentemente un risparmio di imposta.
Questa Corte ha già avuto modo di precisare che l'onere della prova della ricorrenza dei presupposti dell'elusione grava in ogni caso sull'Amministrazione che intenda operare le conseguenti rettifiche (ex multis Cass. 4317/03)
Ciò trova conferma anche in materia di transfer pricing posto che le direttive OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) da tempo elaboranti i criteri di determinazione del prezzo di trasferimento nelle transazioni commerciali internazionali (in pratica il prezzo di libera concorrenza dovendo emergere dal raffronto "esterno" di tale corrispettivo con quello praticato in vendita similare effettuata tra imprese indipendenti oppure dal confronto "interno" tra una impresa del gruppo e terzo indipendente), nel rapporto del 1995 hanno espressamente sottolineato che, laddove la disciplina di ciascuna giurisdizione nazionale preveda che sia l'Amministrazione finanziaria ad essere gravata dell'onere della provare le proprie pretese, il contribuente non è tenuto a dimostrare la correttezza dei prezzi di trasferimento applicati, se non prima che l'Amministrazione fiscale abbia essa stessa provato "prima facie" il non rispetto del principio del valore normale.
Ebbene l'Ufficio, in ottemperanza ai richiamati principi, avrebbe dovuto, innanzitutto, accertare se veramente la fiscalità in Italia era all'epoca superiore rispetto a quella in vigore nei paesi di provenienza dei veicoli compravenduti In secondo luogo, determinare il valore normale dei veicoli acquistati da F.I. verificando, in concreto, se i corrispettivi pagati dalla stessa alle proprie consociate estere fossero effettivamente superiori a tale valore con indagine estesa alla sufficienza del margine di utile ricavato per coprire le spese di riparazione in garanzia ed analisi delle condizioni del mercato automobilistico mediante confronto dei prezzi praticati all'interno del gruppo F. con quelli praticati da altre imprese concorrenti.
Peraltro la ripresa a tassazione operata sul rilievo della illegittima deduzione di imponibile non risulta essere transitata da questi passaggi obbligati, in realtà l'Ufficio essendosi limitato a fare riferimento alle particolari condizioni contrattuali esistenti tra le parti in tema di esclusione della garanzia per i vizi di fabbricazione dei veicoli e da tanto deducendo la sovrafatturazione dei veicoli acquistati dalla società italiana.
E ciò nonostante tali meccanismi di vendita fossero non "anomali" bensì razionalmente spiegabili ed economicamente giustificabili per esigenze di politica commerciale e di imagine, quali il favorire il cliente finale facultato a far valere la garanzia nei confronti del proprio fornitore e non costretto a rivolgersi al produttore estero; tutelare i rapporti tra fabbricanti e distributori riducendo potenzialmente il contenzioso suscettibile di crearsi qualora la società commercializzatrice dovesse ogni volta rivalersi per ottenere rimborso delle spese dalla società produttrice; creare nel soggetto onerato un ferreo controllo sulla necessità ed entità delle riparazioni: finalità queste tutte plausibili che concorrono a svilire ogni ipotizzato intento elusivo privo - anche per questo verso - di pertinenti riscontri probatori.
Il 1° motivo di censura va dunque definitivamente respinto essendo da condividere il nucleo sostanziale della decisione dei giudici di merito che - con congrua motivazione - hanno messo in luce l'assenza di prova della costruzione elusiva sottesa alla pretesa fiscale rispetto alla quale il richiamo a precedenti conformi di altre Commissioni ed all'assoluzione ottenuta in sede penale dai rappresentanti della F. ha svolto una funzione meramente rafforzativa di un giudizio autonomamente fondato e corroborato dalla riscontrata carenza istruttoria.
2. Il 2° motivo si appunta sulla motivazione della sentenza che avrebbe deciso in totale contrasto con le risultanze degli atti attestanti la illegittima duplicazione di costi per spese dei servizi infragruppo perché - pur dato per ammesso che la F.I. aderiva ad un Accordo internazionale con la casa madre F.C. in forza del quale alcuni servizi di utilità generale restavano affidati alla F.E. con riaddebito alle consorelle in base ad un progetto di suddivisione delle spese - non avrebbe tenuto conto che talune di queste prestazioni (programma Oasis, contributi pubblicità, autosaloni e programmi sportivi, locandine) erano state fatturate anche dalle consociate, tra cui la F. UK).
La censura non coglie nel segno perché omette di considerare che la ratio decidendi transita dalla constatazione che resistenza di accordo di tal fatta non impediva alla F.I. di avvalersi di altre ditte per alcuni tipi di servizi come accertato - con insindacabile valutazione di fatto - sulla scorta delle prodotte fatture e comunque risulta privo della occorrente autosufficienza perché facendo generico riferimento alle pagine del pvc senza trascriverne il contenuto non consente di mettere a raffronto le causali per verificare se effettivamente taluni dei servizi ricevuti da terzi rientrassero tra quelli indicati nel precitato accordo secondo i criteri ivi utilizzati per il riparto.
3. Anche il 3° motivo che denunzia la immotivata equiparazione tra spese di pubblicità e propaganda e spese di rappresentanza ai fini di negare l'operata deducibilità nell'esercizio di competenza non è fondato. Non vi è dubbio che sussiste una differenza tipologica tra i due tipi di spesa (le une hanno come obbiettivo preminente l'incremento dei ricavi, le altre quello di diffondere l'immagine dell'azienda aumentandone il prestigio), ma non è così netto il confine tra dette spese allorché si debba poi in concreto verificare lo scopo per il quale esse sono state sostenute.
Ciò perché la nozione di pubblicità è concetto ampio, rappresentato dalla esigenza di informare i consumatori circa l'esistenza di beni e servizi prodotti da una determinata azienda, con l'evidenziazione e l'esaltazione delle caratteristiche e della idoneità a soddisfare i bisogni mediante strategie promozionali che consentano di veicolare le scelte dei consumatori.
Per cui i costi allo scopo sostenuti non si esauriscono solo nell'accrescimento del prestigio della società ma sono spesso tendenzialmente orientati a creare una vera propria aspettativa di incremento delle vendite, specie oggi in cui il messaggio pubblicitario non svolge ormai più un ruolo puramente informativo limitato alla notizia dell'esistenza di un prodotto già introdotto sul mercato ma ha la funzione anche di sensibilizzare preventivamente l'interesse dei consumatori anche verso beni o servizi che ancora non sono offerti concretamente e che semplicemente si preannunziano mediante iniziative e campagne di reclamizzazione destinate pertanto a svolgere un ruolo decisivo sullo sviluppo degli affari (e dunque sul fatturato) dell'azienda (vedasi in termini Cass. 14350/99 e Cass.7803/00).
In tal senso la sentenza impugnata - dopo aver rimarcato l'incerto confine delle spese pubblicitarie-promozionali e di rappresentanza - ha fatto proprie – aderendovi - le argomentazioni della difesa F. richiamate analiticamente nelle premesse di fatto secondo le quali le spese di lancio di nuovo prodotto di sponsorizzazione e di incentivazione, contributi vari per mostre e manifestazioni avevano appunto lo scopo – ancorché indiretto - di incremementare il volume di affari dell'azienda esaltandone l'attività.
Pertanto la censura dell'Amministrazione sul punto va disattesa.
4. L'ultimo motivo di doglianza è rivolto alla parte della sentenza che ha preso atto della rinunzia dell'Ufficio a contestare la pronunzia dei primi giudici in ordine a talune riprese includendo anche le sanzioni alle quali l'Amministrazione non avrebbe inteso abdicare. Tale lettura è peraltro fuorviante nella misura in cui tende inammissibilimente a censurare le conseguenze inespresse di una constatazione – pacifica - di rinunzia alla pretesa sostanziale che comporta inevitabilmente il venir meno delle correlate sanzioni che non possono certo sopravvivere autonomamente ad essa.
5. Il ricorso va pertanto rigettato in tutte le sue articolazioni.
Ricorrono giusti motivi - stante la natura della controversia - per compensare le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa le spese del presente giudizio.
DATA DEPOSITO 16 MAGGIO 2007}}
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